
L'America garantista non c'è più, ora regna la prosecutocracy
C’era una volta l’America patria del garantismo giuridico, dove un indizio non bastava a fare di un sospettato un imputato da mandare a processo. Servivano le prove, quelle vere. Oggi di quel paese non c’è quasi più traccia, scrive su Newsweek Conrad Black, uno che la galera l’ha frequentata per un bel po’ di tempo (tre anni) e che ha subito lo choc di essere prima scarcerato e poi rimandato in prigione per decisione della Corte suprema, che nel frattempo aveva riesaminato il caso.
Roma. C’era una volta l’America patria del garantismo giuridico, dove un indizio non bastava a fare di un sospettato un imputato da mandare a processo. Servivano le prove, quelle vere. Oggi di quel paese non c’è quasi più traccia, scrive su Newsweek Conrad Black, uno che la galera l’ha frequentata per un bel po’ di tempo (tre anni) e che ha subito lo choc di essere prima scarcerato e poi rimandato in prigione per decisione della Corte suprema, che nel frattempo aveva riesaminato il caso. L’emozione fu così forte che la moglie di Black, Barbara, svenne alla lettura della sentenza che condannava l’ex editore di Telegraph, Spectator, National Post, Jerusalem Post e Chicago Sun a ulteriori tredici mesi di carcere per appropriazione indebita, ostacolo alla giustizia e sottrazione di documenti dal suo ufficio una volta saputo di essere indagato per frode. Black prende a esempio il caso di Tom DeLay, l’ex leader di maggioranza alla Camera dei Rappresentanti condannato nel gennaio 2011 in primo grado da una corte del Texas a tre anni di carcere e a dieci in libertà condizionata per riciclaggio: DeLay avrebbe usato 190 mila dollari per finanziare direttamente sette candidati repubblicani in corsa per vincere un seggio al Congresso dello stato nel 2002.
La legge texana prescrive che con i soldi delle Pac si possano finanziare solamente i partiti e non i singoli candidati. Tanto è bastato per mettere DeLay alla gogna, trattato come il peggiore dei criminali. Un po’ come era toccato prima di lui a Scooter Libby, l’ex capo dello staff di Dick Cheney, condannato “senza alcuna prova certa da una giuria partigiana” – scrive Black – per aver ostacolato la giustizia e per falsa testimonianza nell’ambito del Ciagate. Peggio ancora era andata a Ted Stevens, senatore-monumento dell’Alaska (gli fu dedicato in vita perfino l’aeroporto di Anchorage), che nel 2008 finì sotto inchiesta per vari episodi di corruzione. Giudicato colpevole in piena campagna elettorale, Stevens perse il seggio in Senato che occupava ininterrottamente dal 1968. Un anno dopo, il processo fu rivisto: l’accusa cadde e gli accusatori furono sanzionati per “comportamento scorretto” nel corso del processo. Per il senatore dell’Alaska non ci fu però la possibilità di tornare al Congresso, visto che il 9 agosto del 2010 morì in un incidente aereo. Anche lui, come DeLay e Libby è un “eroe americano”, un “martire”.
Il male della giustizia americana, scrive Black, è la “prosecutocracy”, il potere assoluto in mano ai procuratori, gli esponenti dell’accusa, i nostri pubblici ministeri. La colpa della deriva manettara è di tutti, conservatori e liberali, che hanno “ceduto alla tentazione di imporre la legge e l’ordine togliendo ai giudici il diritto di stabilire le condanne”. Il carcere preventivo ricorre sempre più spesso, il patteggiamento è diventato un metodo per estorcere una falsa testimonianza utile a colpire un obiettivo ben identificato. In questi casi, scrive Conrad Black, “l’immunità è garantita”. Tutto questo avviene nel silenzio della Corte suprema, che assiste impassibile alla “distruzione dell’intero sistema giuridico”, mentre le garanzie previste dal quarto, quinto e sesto emendamento sono costantemente violate e il diritto a una giuria imparziale e a una cauzione ragionevole è calpestato. Il risultato è che l’accusa vince il 97 per cento dei casi portati in tribunale e che le carceri americane sono stracolme: gli Stati Uniti hanno da sei a dodici volte più detenuti di Canada, Australia, Francia, Germania, Giappone o Regno Unito. Tutti esempi “di prospere e fiorenti democrazie”. Una colpa grave ricade anche sui media, che sembrano non attendere altro che colpire e accendere i riflettori su “chiunque venga pubblicamente identificato come un sospetto”, scatenando i “due minuti d’odio riservati a Emmanuel Goldstein in ‘1984’ di George Orwell”. La giustizia americana, scrive Black, è diventata un mostro, e nessuno può sentirsi al sicuro.


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