(foto Ansa)

Ci conosciamo tutti

Giuliano Ferrara

Ci si può accontentare di quel che Monti e i suoi hanno avuto da offrirci. Serietà, dedizione ai dossier, un tasso di vanità contenuto, ironia senza troppe pretese, una presenza non indecente, tutt’altro, sulla scena europea e mondiale, lunghi Consigli dei ministri, relativa trasparenza nell’informazione, rare smentite al contrario di quanto avveniva sub Berlusconi, no bisticci ideologici degradanti come succedeva sub Prodi, mitezza e tratto istituzionale a spegnere le velleità girotondine e giacobine.

Ci si può accontentare di quel che Monti e i suoi hanno avuto da offrirci. Serietà, dedizione ai dossier, un tasso di vanità contenuto, ironia senza troppe pretese, una presenza non indecente, tutt’altro, sulla scena europea e mondiale, lunghi Consigli dei ministri, relativa trasparenza nell’informazione, rare smentite al contrario di quanto avveniva sub Berlusconi, no bisticci ideologici degradanti come succedeva sub Prodi, mitezza e tratto istituzionale a spegnere le velleità girotondine e giacobine, no moralismi e facilonerie demagogiche, senso della continuità dello stato e dello stato in sé, vacanze in Engadina, atmosfera familiare non troppo impegnativa, misure infine di taglio della spesa pubblica e di taglio delle imposte sul reddito, un campioncino modesto magari, ma interessante e cruciale per un paese tanto degradato, della rivoluzione liberale impossibile, almeno secondo le quantità e le qualità invocate da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina nel Corriere di ieri.

Non è questione di essere rassegnati o troppo cautamente realisti. Non è questione di risposte ovvie. I tecnici non hanno sufficiente legittimazione per fare la rivoluzione. Possono governare anche in forma semicommissaria, in regime di sospensione delle ordinarie garanzie elettorali e di cittadinanza, ma per realizzare in un lasso di tempo predeterminato scopi condivisi di una comunità che abiti una situazione di emergenza di cui non riesca a venire a capo altrimenti: la radicale scomposizione degli interessi, una riclassificazione sociologica e antropologica delle figure sociali dominanti, un ricambio di cultura e di comportamenti – insomma la rivoluzione liberale – non sono cose nell’orizzonte di una tecnocrazia che usa le leve esistenti dello stato e non si cura direttamente del consenso popolare ma dipende pur sempre da quello parlamentare, per quanto illuminata e brillante possa essere.

Gli harvardiani del Corriere non hanno praticamente difetti. Le loro agende riformatrici sono perfette. Lo stile di scrittura è invidiabilmente chiaro e semplice. I dati inoppugnabili. Anche chi porti rispetto per le ideologie sopravvissute al crollo del Novecento e dei suoi miti collettivisti, industrialisti, socialisti, anche per chi diffidi del pensiero troppo levigato e misurato, le ragioni di Giavazzi & Co. sono irresistibili. Manca loro l’esprit de finesse, la comprensione (anche polemica, anche giansenistica) per l’irriducibilità di certe passioni, o vizi, come l’attitudine alla vita protetta, lo scetticismo verso il potere pubblico e l’intraprendenza privata, l’individualismo senza Dio e con il prete che ti assolve, una certa bonarietà che sconfina volentieri nella pigrizia e che non si sposa con  principi di responsabilità e libertà  delle rivoluzioni. Ci conosciamo tutti.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.