
Appello a Michele Serra
Vale la pena di leggerla, l’Amaca di Michele Serra. Perché è ben scritta, spesso gli argomenti polemici sembrano obbligati, lineari, e sono espressivi di un mondo che esiste, con i suoi buoni sentimenti e le sue ansie e rabbie, e non sarebbe sensato negarlo. E’ il perfetto contrappunto della nostra sedia a dondolo dalla quale spencolandosi stordito l’autore della Versione di Andrea sputazza mozziconi di sigaro, memorie invalidate dalla corrosione neurologica delle facoltà e dal consumo dell’alcol, amarezze e buffonerie di genio e di suprema poesia corsivistica.
Vale la pena di leggerla, l’Amaca di Michele Serra. Perché è ben scritta, spesso gli argomenti polemici sembrano obbligati, lineari, e sono espressivi di un mondo che esiste, con i suoi buoni sentimenti e le sue ansie e rabbie, e non sarebbe sensato negarlo. E’ il perfetto contrappunto della nostra sedia a dondolo dalla quale spencolandosi stordito l’autore della Versione di Andrea sputazza mozziconi di sigaro, memorie invalidate dalla corrosione neurologica delle facoltà e dal consumo dell’alcol, amarezze e buffonerie di genio e di suprema poesia corsivistica. Due antropologie letterarie, come si dice. Ma negli ultimi tempi, tempi duri, tempi che si dovrebbe poter attraversare in sonno, Serra stupisce. Stupisce come l’arresto sommario, a furor di popolo, di un povero ladro di provincia che merita dieci processi e una ordinaria retribuzione penale ma non una sola gogna. Come la lapidazione dei festaioli da parte di gente che non si domanda mai se avrebbe risposto di sì oppure no a un cortese invito. Come il tribunismo demagogico corrotto che porta i talk show a eccitarsi ossessivamente, ogni sera, contro i bagni in Sardegna di un amministratore lombardo in nome addirittura delle sofferenze sociali dei disoccupati e dei cassintegrati, senza mai domandarsi come sia gestita la Regione di cui l’amministratore è presidente. Insomma, immondizia che brilla di luce umanitaria e di solidarietà sociale a sfondo forcaiolo, la solita storia. E’ certo che se la star polemistica di Repubblica avesse mai la bontà di rileggersi stupirebbe prima di tutto sé stesso. E questo è il nostro appello: si rilegga. E vedrà che gli può accadere, tradendo la sua bella buona fede, di trattare malamente il mondo sul quale Dio fa piovere indistintamente tra i buoni e i cattivi.
Un corsivo recente già ci aveva stupito. Il Serra scriveva che gli islamisti devono piantarla di odiare tribalmente gli occidentali, perché tra gli occidentali ci sono islamofobi e islamofili, gente che respinge e gente che accoglie, e ciascuno deve rispondere individualmente del suo comportamento. Se ne concludeva agevolmente: colpite altrove, lasciatemi in pace, prendetevela a modo vostro con le vignette o i filmetti che offendono la vostra idea del divino e della sharia, e non disturbate noi gran signori del multiculturalismo che vi aspettiamo tranquilli, in pantofole, nel cuore della civiltà europea. Ieri poi il massimo. Lele Mora e altri peccatori di Berlusconia devono rieducarsi come succedeva nei campi della Rivoluzione culturale, con il lavoro manuale, il santificante sudore della fronte che riscatta la loro virtualità e immoralità con un bagno di realtà. Un bagno penale per un povero disgraziato che magari ha vissuto male, che forse è nato per dispiacere i beautiful people per via dei suoi casting televisivi, ma che qui si preferirebbe giudicato secondo canoni di morale laica e di stato di diritto. Non con le sulfuree idee di Chiang Ching e di Lin Piao.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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