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Le ragioni del pullover
“Lascia l'Italia” è quel che i mercati dicono a Marchionne
Chi s’intende di mercati suggerisce a Sergio Marchionne di non scommettere sull’Italia, anzi. Il dibattito sui nuovi investimenti e i nuovi modelli del Lingotto potrà continuare a lungo, le schermaglie di diversa natura con Volkswagen o la Fiom-Cgil potranno anch’esse proseguire, ma ciò che agli investitori internazionali pare indiscutibile nel ragionamento dell’ad del Lingotto è quanto sintetizzato lo scorso 18 settembre nell’intervista di Ezio Mauro, direttore di Repubblica.
Roma. Chi s’intende di mercati suggerisce a Sergio Marchionne di non scommettere sull’Italia, anzi. Il dibattito sui nuovi investimenti e i nuovi modelli del Lingotto potrà continuare a lungo, le schermaglie di diversa natura con Volkswagen o la Fiom-Cgil potranno anch’esse proseguire, ma ciò che agli investitori internazionali pare indiscutibile nel ragionamento dell’ad del Lingotto è quanto sintetizzato lo scorso 18 settembre nell’intervista di Ezio Mauro, direttore di Repubblica. La domanda era: cosa pensano gli americani del successo di Detroit con Chrysler e del fallimento di Torino? Risposta di Marchionne: “Quando spiego, loro fanno due conti e mi dicono cosa farebbero: chiusura di due stabilimenti per togliere sovraccapacità dal sistema europeo. I conti li so fare anch’io. Se mi comporto diversamente, ci sarà una ragione”. Tutto falso, sostengono i critici dell’ad, questo è soltanto allarmismo creato ad arte per giustificare l’archiviazione del piano Fabbrica Italia e il disimpegno dal paese.
Il Wall Street Journal, quotidiano finanziario edito dal magnate Rupert Murdoch, la pensa invece come Marchionne. Ieri il giornale titolava così una delle sue rubriche più lette tra gli addetti ai lavori (“Heard on the street”): “Fiat faced with an Italian job problem”. Citazioni cinematografiche a parte, il senso dell’analisi era sintetizzato in un catenaccio: “Per tornare a fare profitti entro il 2014 in Europa, Fiat dovrebbe tagliare 5.400 posti di lavoro”. L’analisi è di Andrew Peaple, ma le pezze d’appoggio sono fornite da uno studio di Goldman Sachs, banca d’affari simbolo del capitalismo finanziario (e dei suoi eccessi, secondo i critici). Il report descrive le pressioni ricevute dal Lingotto per mantenere la sua presenza in Italia, “dove i suoi 90 mila dipendenti fanno della Fiat il maggiore datore di lavoro privato”. Ma il Wsj riconosce anche che “Fiat avrebbe già potuto arrendersi in Italia, e legittimamente. L’ad assediato, Sergio Marchionne, ha sospeso il programma d’investimenti da 20 miliardi di euro, dopo aver speso soltanto 2,5 miliardi. Quella decisione ha fatto sì che il manager sia stato convocato, lo scorso fine settimana, dal primo ministro Mario Monti, dopodiché la Fiat si è impegnata a mantenere la sua presenza industriale in Italia”. Ha fatto bene? Decisamente no, almeno dal punto di vista di Goldman Sachs: “Ridurre le operazioni in Italia avrebbe più senso sotto il profilo finanziario. Gli stabilimenti Fiat per la produzione delle automobili sono sfruttati al 50 per cento della loro capacità, ben al di sotto della soglia del 78 per cento necessaria alla società per arrivare al pareggio (break even)”. La Casa tedesca Volkswagen, per fare un paragone, utilizza i suoi impianti all’84 per cento. Da qui l’idea di tagliare posti di lavoro: “Lo stabilimento di Mirafiori, con i suoi 4.700 lavoratori ma con un tasso di utilizzo dell’impianto pari oggi al 23 per cento, sembra l’impianto più vulnerabile”. Certo, ammette il Wsj, agire così alimenterebbe il caos politico. Né sarebbe possibile, in tempi ragionevoli, assicurare maggiore flessibilità della forza lavoro. Nell’attesa di tempi migliori, concludono gli analisti di Goldman Sachs, se proprio Fiat vuole restare in Italia dovrà consolarsi con i risultati positivi che arrivano da Serbia, Polonia, Turchia oltre che dall’operazione Chrysler. Esattamente la tesi espressa in questi giorni dall’ad del Lingotto.
Sostegno a Monti, polemiche con il governo
Marchionne, che ieri ha fissato per metà ottobre l’incontro con i sindacati italiani, certamente ricorderà ai suoi interlocutori questi ragionamenti pessimistici che circolano tra gli investitori internazionali. Perché, come ha ribadito ieri dal Salone dell’auto di Parigi, “le case che finora (in questa fase di crisi, ndr) hanno investito, sono oggi in difficoltà finanziaria. La Fiat ha fatto una scelta diversa dagli altri e quindi adesso non ha bisogno di assistenza”. Ciò non ha impedito l’ennesima polemica a distanza con Roma, questa volta con il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che ha imputato a Fiat di aver preso finanziamenti pubblici su auto elettrica, auto a idrogeno, auto ibrida e gas naturale, e di aver poi abbandonato i progetti. Erano economicamente insostenibili, ha replicato Marchionne. Che però ha di nuovo esplicitato il suo sostegno all’attuale premier, Mario Monti. Un governo Monti bis “sarebbe un passo avanti per il paese. Darebbe credibilità e toglierebbe molta incertezza”.


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