Se mi stronchi ti querelo

Redazione

Anche di solenni stroncature vive la letteratura: si chiama critica, non è detto che debba sempre ballare il minuetto e ci sono passati più o meno tutti. Lo scrittore magistrato senatore Gianrico Carofiglio ritiene invece che certi giudizi non lusinghieri sulla sua opera e sul suo talento vadano legalmente perseguiti e affidati alle cure dei tribunali. Ma con l’idea di citare in giudizio Vincenzo Ostuni è riuscito, per ora, nell’impresa di far diventare garantista perfino Paolo Flores d’Arcais.

    Anche di solenni stroncature vive la letteratura: si chiama critica, non è detto che debba sempre ballare il minuetto e ci sono passati più o meno tutti. Lo scrittore magistrato senatore Gianrico Carofiglio ritiene invece che certi giudizi non lusinghieri sulla sua opera e sul suo talento vadano legalmente perseguiti e affidati alle cure dei tribunali. Ma con l’idea di citare in giudizio Vincenzo Ostuni – l’editor di Ponte alle Grazie che, su Facebook, aveva definito “Il silenzio dell’onda” di Carofiglio “un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di ‘responsabilità dello stile’, per dirla con Barthes” –  è riuscito, per ora, nell’impresa di far diventare garantista perfino Paolo Flores d’Arcais. Il quale, sul Fatto di ieri, ricordava allo scrittore che la più spietata delle stroncature non è mai un delitto, mentre un folto gruppo di letterati imbarazzati si è dato appuntamento oggi alle 11 a piazza del Collegio Romano, di fronte al commissariato in cui operava il don Ciccio Ingravallo del “Pasticciaccio” di Gadda, allo scopo di ripetere, tutti in coro, la frase costata la querela a Ostuni.

    Carofiglio dovrebbe piuttosto ispirarsi ad altri stroncati. Se non proprio al vincitore dello Strega, Alessandro Piperno – che non ha chiamato la celere quando Ostuni ha definito il suo “Inseparabili”, “profondamente mediocre, una copia di copia, un esempio prototipico di midcult residuale” – almeno a Marcel Proust. Il quale sfidò a duello il malevolo recensore Jean Lorrain, che l’aveva dipinto come “uno di quei giovanottini del bel mondo malati di letteratura e di successi nei salotti”. Due colpi a vuoto, padrini soddisfatti, duellanti pure. E Malaparte? Non passò tutta la vita per tribunali con Moravia, Barzini, Gramsci, Cardarelli, ma preferì replicare alle loro stroncature con (rare) battutacce. Anche Vercors, autore di quel libro di strepitoso successo degli anni Quaranta intitolato “Il silenzio del mare” (curioso, no?), fu così bastonato da Arthur Koestler: “La cosa più esasperante di questo libretto è il suo misto di complesso di inferiorità e di arroganza”. Vercors non reagì. Il silenzio (del mare, dell’onda, di quel che si vuole) a volte è la cosa migliore. Anzi, l’unica.