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Quei duri del New Hampshire
Malgrado porti in dote solo quattro voti elettorali, per il New Hampshire è normale essere al centro dell’attenzione nel periodo delle elezioni presidenziali. Fino all’èra Clinton, però, l’interesse dei media e dell’opinione pubblica restava vivo soltanto durante la stagione delle primarie, che per tradizione (dopo i caucus dell’Iowa) partono proprio nel Granite State.
di Andrea Mancia e Cristina Missiroli
Malgrado porti in dote solo quattro voti elettorali, per il New Hampshire è normale essere al centro dell’attenzione nel periodo delle elezioni presidenziali. Fino all’èra Clinton, però, l’interesse dei media e dell’opinione pubblica restava vivo soltanto durante la stagione delle primarie, che per tradizione (dopo i caucus dell’Iowa) partono proprio nel Granite State. Poi, in genere, l’interesse si interrompeva di colpo per assoluta mancanza di suspense: la solida tradizione repubblicana e libertarian dello stato, infatti, faceva di questo piccolo ma fiero stato dell’Unione l’unico bastione “rosso” nell’oceano “blu” del New England.
Dalla nascita del Partito repubblicano – che secondo qualche storico avviene proprio nel Granite State intorno al 1845 nella città di Exeter (Rockingham County) – il New Hampshire resta una roccaforte incrollabile del Gop fino al 1992. E vota soltanto per tre candidati democratici in tutta la sua storia: Woodrow Wilson (+2 per cento contro William Taft nel 1912), Franklin D. Roosevelt (+2 per cento contro Alfred Landon nel 1936, +6 per cento contro Wendell Willkie nel 1940, +4 per cento contro Thomas Dewey nel 1944) e Lyndon B. Johnson (+27 per cento contro Barry Goldwater nel 1964). Perfino Franklin Roosevelt, però, fatica a conquistare il cuore del New Hampshire: la prima volta perde contro Herbert Hoover, nel 1932. Di particolare peso, nel Dopoguerra, le vittorie di Dwight Eisenhower nel 1952 e nel 1956 (+21 per cento e +33 per cento sempre contro Adlai Stevenson), di Richard Nixon nel 1972 (+29 per cento contro George McGovern), di Ronald Reagan nel 1980 (+29 per cento contro Jimmy Carter) e nel 1984 (+38 per cento contro Walter Mondale) e di George Bush Sr. nel 1988 (+26 per cento contro Michael Dukakis).
Poi tutto cambia. Complice un rilevante mutamento demografico che ne altera profondamente la base elettorale, dagli inizi degli anni Novanta il Granite State comincia a diventare uno dei campi di battaglia decisivi per le presidenziali. Nel 1992, Bill Clinton riesce a strappare lo stato ai repubblicani (38,9 per cento contro il 37,6 per cento di Bush Sr.), con il contributo decisivo di Ross Perot (22,5 per cento), consolidando questa vittoria con il netto +10 per cento rifilato a Bob Dole nel 1996. Nei primi anni 2000, sia George W. Bush contro Al Gore (+1,2 per cento) sia John Kerry contro lo stesso Bush Jr. (+1,4 per cento) ottengono due affermazioni molto risicate. Una tendenza all’incertezza che si interrompe, all’improvviso, con le elezioni del 2008, quando Barack Obama conquista il New Hampshire con uno scarto del 9,6 per cento (quasi 2 punti e mezzo in più della media nazionale) su John McCain, conquistando tutte le contee, anche quelle solidamente repubblicane e accaparrandosi i quattro voti elettorali.
Vincere in New Hampshire non è facile, anche perché si tratta di uno stato sui generis. Non solo è uno dei 13 fondatori degli Stati Uniti d’America, ma nel gennaio 1776 è il primo a rompere con la Gran Bretagna e a proclamarsi nazione sovrana. Ed è anche il primo a dotarsi di una Costituzione propria. Il suo motto è esplicito e rimanda a quelle origini: “Live Free or Die” (“vivi libero o muori”). I suoi abitanti ne vanno talmente orgogliosi da sollevare tumulti per quel che altrove sarebbe considerata una bazzecola. Basta un restyling delle targhe automobilistiche che riduce la leggibilità del motto – per esempio – a provocare una ribellione che obbliga l’amministrazione a fare marcia indietro e restituire piena visibilità all’identità dello stato.
Il ritratto storico-politico del New Hampshire, insomma, descrive uno stato dalla tendenza culturale di destra-libertaria: allergica a tasse e imposizioni. Dovendo governare una popolazione restia alle imposte, sia statali sia locali, le amministrazioni pubbliche si mantengono senza una tassa generale sulle vendite e sul reddito personale. Esiste infatti una tassazione del 9 per cento sugli affitti e sui pasti (che colpisce più i turisti che i residenti). E c’è una tassa del 5 per cento sui dividendi e gli interessi che fanno reddito personale. Ma per il resto esiste soltanto una micro-imposta statale dello 0,75 per cento sulla proprietà. Un sistema che gli abitanti non vogliono modificare. I cittadini del New Hampshire continuano a chiedere ai politici che si sottopongono al voto di sottoscrivere “The Pledge”, il giuramento di non aumentare o istituire tasse generali per gli abitanti. Ogni aumento di spesa pubblica è coperto con l’aumento delle “sin tax”, ovvero le “tasse sui vizi” (alcol, tabacco, gioco d’azzardo), oppure con imposte doganali e tasse di scopo.
Le tendenze libertarie del popolo del New Hampshire sono testimoniate dalla difficoltà con la quale vengono approvate le leggi che in qualche modo limitano la libertà e la responsabilità personali, anche nella vita quotidiana: difficile ad esempio fare digerire l’introduzione delle cinture di sicurezza in macchina e del casco per le moto. Persino l’assicurazione per l’automobile non è obbligatoria. La reputazione di stato anti-tasse fa sì che il New Hampshire diventi terreno di attrazione per le contee e le città limitrofe scontente dei regimi più rigidi. Capita così che le vicine Amesbury e Salisbury (Massachusetts) o la meno vicina Killington (Vermont) promuovano petizioni per diventare parte del Granite State. Richieste che il Congresso non accoglierà mai, ma che testimoniano l’insofferenza per le incombenze fiscali sofferte negli stati di appartenenza
Ma cosa può trasformare uno stato con queste caratteristiche in terra di conquista per Obama? Secondo gli analisti, molto dipende dalla sviluppo politico-demografico. Oltre che dallo straordinario successo del “ground game” obamiano alle ultime elezioni. Gli elettori che votano per la prima volta del 2008 (giovani al primo voto e nuovi residenti) sono più democratici che repubblicani. Un terzo dell’elettorato potenziale del 2008 nel 2000 non poteva votare (perché troppo giovane o perché residente in un altro stato): siamo di fronte a uno slittamento rilevante, capace di trasformare il panorama politico di uno degli stati più “rossi” del nord-est in uno in cui Obama può vincere in tutte le contee
Quanto il risultato di questo mutamento di scenario sia destinato a diventare strutturale, è difficile a dirsi. Di certo, però, sarà difficile per Obama ripetere la performance del 2008. La recessione ha rallentato molto il flusso in entrata di nuovi cittadini, probabilmente ponendo un freno alla deriva a sinistra dello stato. Allo stesso tempo, l’accoppiata con Paul Ryan rafforza l’impatto di Romney sull’elettorato liberista tradizionalmente forte in New Hampshire. Un particolare che potrebbe richiamare alle urne quei repubblicani che, tiepidi con il moderato McCain, disertarono le urne nella passata tornata elettorale.
Un assaggio di quello che accadrà a novembre potrebbe essersi verificato nel 2010. Alle elezioni di midterm il New Hampshire sterza decisamente verso destra, mandando a casa entrambi i rappresentanti democratici della Camera ed eleggendo in Senato la repubblicana Kelly Ayotte, con ampio margine sul democratico Paul Hodes (+ 23 per cento). Un risultato che il Gop vuole utilizzare come trampolino di lancio per il 2012, cercando di conquistare anche la poltrona di governatore lasciata libera, dopo quattro mandati, dal democratico John Lynch. Magari creando un clima generale in grado di rendere lo stato competitivo per Romney
Oggi, a un paio di mesi dalle elezioni, l’onda “blu” del 2006 e del 2008 sembra un lontano ricordo. Entrambi i partiti hanno nuovamente zone di influenza sulle quali poter contare. La roccaforte democratica del New Hampshire passa per la valle del fiume Connecticut, a sud-ovest, che percorre il confine con il nord del Massachusetts attraverso Keene fino ad Hanover e Lebanon. Si tratta di un’area piena di college e università e, al tempo stesso, meta piuttosto ambita e popolare per pensionati facoltosi che vengono dall’area di New York e che proprio in quella zona, vicino alle White Mountains, comprano la seconda casa. Anche qui, come in Colorado, le località sciistiche e vacanziere tendono a sinistra. Proprio come la zona costiera, dove la concentrazione di voto democratico è fortissima a Portsmouth e Durham (sede della University of New Hampshire), oltre che nelle vecchie città nate intorno all’industria tessile (Somersworth, Rollinsford e Rochester)
Il cuore del territorio repubblicano, invece, si trova tra la costa e le contee occidentali di Cheshire e Sullivan. Malgrado le città di Nashua e Manchester votino spesso (ma non sempre) democratico, le piccole città della zona – come Hudson, Windham, Salem, Derry e Pelham – sono solidamente repubblicane. Paradossalmente, anche le città più vicine al confine con il “liberal” Massachusetts, sono di forte tradizione “rossa”. Tanto che i democratici chiamano questa zona “il triangolo delle Bermuda”, il posto dove i candidati “blu” vanno a morire
C’è poi una contea che gli analisti (soprattutto quelli democratici) tengono sott’occhio come termometro dei risultati elettorali. E’ la contea di Merrimack, dove ha sede Concord, la capitale dello stato. Da diverse tornate elettorali, il risultato di Merrimack si avvicina al risultato dei democratici a livello nazionale. Generalmente regalando al partito di Obama un paio di punti in più rispetto alla media nazionale. Concord, con i suoi lavoratori pubblici, è infatti una città democratica, mentre i suoi sobborghi premiano di solito i repubblicani, garantendo un risultato piuttosto bilanciato e in linea tendenziale con il risultato finale dello stato.
In questa campagna elettorale, Obama e Romney stanno concentrando i loro sforzi soprattutto nelle tre aree geografiche degli Stati Uniti in cui si trovano i cosiddetti swing states: la parte centrale del Mountain West (Colorado, Nevada e, in misura minore, New Mexico); la East Coast al di sotto della linea Mason-Dixon (Virginia, North Carolina e Florida); il Midwest (Ohio, Iowa, Missouri, Wisconsin e, marginalmente, Michigan e Minnesota). Il New Hampshire rappresenta un’eccezione a questa regola generale. E dunque un test particolarmente interessante per misurare il trend nazionale. Il numero molto alto di elettori indipendenti nel Granite State è in grado di influenzare le sorti della competizione, ma non bisogna sottovalutare la mobilitazione della propria base elettorale.
In New Hampshire, Obama non può contare sul traino e sull’entusiasmo del voto nero. La popolazione bianca sfiora il 94 per cento, mentre quella afroamericana è ferma all’1,1 per cento, doppiata persino da quella di origine asiatica (2,2 per cento). Il presidente uscente può contare invece sulle élite che insegnano e studiano nelle università. A favore di Mitt Romney può giocare il passato di governatore dello stato confinante del Massachusetts: un uomo del nord molto diverso e con un appeal molto maggiore per l’elettore repubblicano del New Hampshire rispetto a McCain. Tutto da valutare, infine, il fattore-Ryan: potrebbe essere proprio lui il “game-changer” nel Granite State.
di Andrea Mancia e Cristina Missiroli
(Sesto articolo di una serie di ricognizioni negli stati decisivi della campagna presidenziale americana. Le puntate precedenti si trovano su www.ilfoglio.it)


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