Quel gran fico antifiscale

Redazione

Paul Ryan è arrivato a Kenosha per dare brutte notizie. E’ il 3 maggio 2012 e gli Stati Uniti si trovano di fronte a un’imminente crisi del debito. Il governo federale sta spendendo troppo. Le spese per benefit e diritti acquisiti sono ormai fuori controllo. Il sistema di previdenza sociale sta per risultare insolvente. Quello di assistenza medica succhia una fetta sempre più grande dei soldi dei contribuenti

di  Stephen Hayes

Leggi Gli ideali dietro l’accetta di Ryan di Mattia Ferraresi

    Paul Ryan è arrivato a Kenosha per dare brutte notizie. E’ il 3 maggio 2012 e gli Stati Uniti si trovano di fronte a un’imminente crisi del debito. Il governo federale sta spendendo troppo. Le spese per benefit e diritti acquisiti sono ormai fuori controllo. Il sistema di previdenza sociale sta per risultare insolvente. Quello di assistenza medica succhia una fetta sempre più grande dei soldi dei contribuenti. Ci sono troppi pensionati e troppi pochi lavoratori per mantenerli. Ed entrambi i partiti politici sono responsabili di questo caos infernale. Ryan, delegato per la settima volta consecutiva del primo distretto congressuale del Wisconsin, parla velocemente, come se la catastrofe potesse abbattersi proprio nel bel mezzo delle sue parole, se perdesse tempo in inutili dettagli. Il suo è un messaggio “tonificante”. Dice, in sostanza, che l’esperimento americano – duecentotrentasei anni di autogoverno – è sull’orlo del fallimento. Ciononostante, sorride.

    Non è il falso sorriso di un politico che cerca voti, o il sogghigno di un ciarlatano in mezzo a un gruppo di cafoni. E’ un autentico sorriso – il sorriso vivace di qualcuno che sente l’importanza delle sue parole. Paul Ryan è convinto di avere la soluzione al problema. E dopo lunghe e spesso solitarie lotte per convincere i suoi colleghi repubblicani che bisogna parlarne francamente, Ryan sta finalmente raggiungendo il suo obiettivo. Le osservazioni iniziali durano diciannove minuti. Come per confermare la sua ben meritata reputazione di sgobbone del budget, la sua presentazione in PowerPoint – sì, proprio in PowerPoint – è zeppa di grafici con statistiche sul rapporto tra debito e pil, stime sulle entrate, analisi sulle spese e un buon numero di acronimi.

    Per anni, Ryan ha ripetuto i suoi avvertimenti. Ha la parlata degli esperti washingtoniani del budget e dei funzionari del Campidoglio che si occupano di politica fiscale, e i suoi tentativi di comunicare la gravità della nostra situazione sono stati spesso ostacolati proprio dalla sua oratoria. Ma ora è diverso. Le parole di Ryan sono convincenti e facili da comprendere. Inizia con una descrizione dell’imminente crisi del debito, descrive brevemente i falliti tentativi di Obama per risolverla, e poi passa rapidamente ai cinque punti della sua proposta di soluzione. Ha già fatto centinaia di volte questo discorso, nelle sedi dei consigli comunali, di fronte a gruppi di uomini d’affari e in piccole riunioni di repubblicani al Congresso. L’esperienza paga. A un certo punto, Ryan fa una pausa a effetto e subito dopo mostra una diapositiva che raffigura l’andamento “odierno” su un grafico che ripercorre tutta la storia del debito statunitense. Quando infine mostra l’autentica montagna del debito attuale il pubblico risponde con un ansioso sospiro collettivo.

    Le sue critiche nei confronti della Casa Bianca sono concrete e precise, quasi ovattate nel modo, e il suo tono non è di rabbia ma di delusione. L’atteggiamento cambia soltanto quando cita il commento fatto all’inizio di questa primavera dal segretario al Tesoro Timothy Geithner di fronte al comitato presieduto da Ryan: “Avete ragione a sostenere che non siamo venuti qui oggi a dire che abbiamo la soluzione definitiva per questo annoso problema. Ma siamo sicuri che non ci piace la vostra soluzione”.
    Ryan era infuriato dall’indifferenza di Geithner sulla necessità di risolvere il problema e indignato dal suo superficiale rifiuto del lavoro svolto dalla commissione da lui presieduta. Questo risentimento può essersi placato, ma non è certo sparito. “La gente mi diceva continuamente cose del genere ai tempi del liceo”, dice Ryan al pubblico. E’ probabilmente la sua frecciata più acida nei confronti dell’Amministrazione. Ben poche delle persone che lo conoscono avrebbero immaginato che Ryan si sarebbe trovato al centro del dibattito nazionale. E appena due anni fa i sondaggisti e gli strateghi repubblicani avevano consigliato ai loro candidati di prendere le distanze dal piano di Ryan. Ma ora è diventato il leader intellettuale del Partito repubblicano. E, persino con il rischio di esagerare la cosa, il risultato delle elezioni di novembre potrebbe ruotare attorno al fatto se il suo partito sia in grado di presentare e difendere le sue idee.

    Paul Ryan è giunto per la prima volta a Washington come stagista nell’ufficio del senatore repubblicano del Wisconsin Bob Kasten. In teoria, Ryan lavorava per lo staff di politica estera, ma ha trascorso la maggior parte del tempo nell’ufficio per la corrispondenza. Era un grande lavoratore, anche sulle cose più tediose, e l’estate successiva è stato accolto a braccia aperte per uno stage nel Senate Small Business Committee, nel quale Kasten occupava una posizione di primo piano.

    Ryan aveva come punto di riferimento Cesar Conda, il direttore dello staff repubblicano. “Paul a diciannove anni era esattamente la stessa persona di oggi”, ricorda Conda. “Serio, educato e gran lavoratore, con un desiderio insaziabile per la politica”. Ryan si presentava spesso nell’ufficio di Conda con domande di economia, e le sue apparizioni si fecero così frequenti che Conda si vide costretto a dargli dei libri da leggere per tenerlo occupato.

    Ryan tornò poi a studiare alla Miami University di Oxford, nell’Ohio, ma prima ancora di laurearsi fu chiamato da Conda, il quale gli offrì un lavoro nello Small Business Committee. “Lo assunsi ancora fresco di università perché non avevo i soldi per assumere una persona più qualificata, e perché sapevo che poteva svolgere il lavoro meglio di qualsiasi persona più qualificata”, racconta Conda, che ora è capo dello staff del senatore Marco Rubio.

    Kasten perse il posto nel 1992, e Ryan, dopo avere aiutato Conda a mettere in piedi un piccolo think tank, iniziò a lavorare con Bill Bennett e Jack Kemp nel loro laboratorio  politico, Empower America. “Paul aveva il dono dell’anonimità”, ricorda Bennett: “Era un membro dello staff, e si considerava tale. Non era il tipo che alzava continuamente la mano per farsi notare”. Ryan lavorò a stretto contatto con Kemp sulle questioni economiche e stabilì relazioni con molti giovani pensatori del movimento conservatore.

    Nel 1995, dopo due anni nel mondo dei think tank, Ryan tornò al Campidoglio. I repubblicani avevano appena conquistato il Congresso, e la Camera dei Rappresentanti, sotto la guida di Newt Gingrich, sembrava il posto più adatto per entrare nella battaglia delle idee. Ryan si mise a lavorare per il nuovo rappresentante del Kansas, Sam Brownback, ed ebbe subito enormi responsabilità per un giovane di appena venticinque anni. “Era un vero puritano sulle politiche economiche”, ricorda Brownback, che fu eletto governatore del Kansas dopo aver servito per un mandato nella Camera e per due mandati e mezzo nel Senato. Brownback ricorda una discussione particolarmente infuocata sulle sovvenzioni all’etanolo. “Paul era decisamente contrario e diceva che era sbagliato, che non era giusto usare i soldi dei contribuenti per sostenere un’industria’”. All’interno del suo staff la discussione infuriò per settimane e Brownback non riusciva a prendere una decisione. Voleva schierarsi con Ryan ma sapeva che politicamente era più avveduto sostenere le sovvenzioni. Alla fine la soluzione arrivò da sola: “Fu come un intervento divino. Il giorno del voto Paul non c’era e votai a favore delle sovvenzioni”.
    Tre anni dopo, quando il deputato Mark Neumann gli disse che avrebbe lasciato il proprio seggio per sfidare il senatore Russ Feingold, Ryan tornò nella sua città natale, Janesville, per candidarsi alle elezioni. Paul fece la campagna elettorale nel primo distretto presentandosi come un conservatore pragmatico con un programma da lui stesso definito “Paycheck Protection Plan”, che includeva la promessa di una lotta contro gli aumenti delle tasse. Prima della vittoria di Neumann nel 1994, il seggio era stato occupato, fin dal 1970, dal democratico Les Aspin. Ryan sconfisse la democratica Lydia Spottswood con un margine sorprendentemente netto (57 per cento a 43), malgrado il fatto che i democratici avessero inserito questo seggio tra i loro primi dieci obiettivi. Il loro ottimismo era comprensibile: Bill Clinton qui aveva vinto per due volte, battendo Bob Dole con un margine di dodici punti appena due anni prima della vittoria di Ryan.

    Un’esperienza, quella al Congresso, a volte tormentata. Come disse al giornalista Philip Klein, a Capitol Hill “non si vota sempre per quello che si desidera. Talvolta si deve votare per ciò che non si vuole, ma che rimane la migliore delle possibili alternative”. Ryan, nonostante gli impegni e la notorietà, non smise mai di studiare. “Quando si stava seduti alla propria scrivania senza fare nulla, Paul era sempre assorto su qualche complicato testo di economia”, ricorda l’ex rappresentante Mark Green, eletto nel 1998 e rimasto insieme a lui nella Camera per otto anni.
    Nel novembre del 2006 i repubblicani persero malamente le elezioni di midterm, segnate da un vasto risentimento sulla gestione e la durata della guerra in Iraq e dalle accuse democratiche sul fatto che, sotto la leadership repubblicana del Congresso, si era affermata una “cultura della corruzione”. I democratici assunsero il controllo della Camera e del Senato, cosa che non accadeva dal 1994. Lo smacco subito dal partito si rivelò una grande opportunità per Ryan, che però non se ne accorse subito. Poco dopo le elezioni, Paul tornò in Wisconsin, come fa ogni anno quando si apre la stagione della caccia ai cervi. Ma i risultati delle elezioni erano per lui un pesante fardello. “Dopo essere stati sonoramente battuti da Nancy Pelosi nel 2006, me ne rimasi seduto a pensare: Che ci faccio io al Congresso? Cosa sto facendo? Serve davvero a qualcosa?”. Ryan dice di aver seriamente pensato di lasciare la politica. Nancy Pelosi aveva introdotto alla Camera un nuovo orario lavorativo di cinque giorni alla settimana, e dunque, quando il Congresso era in sessione, Ryan avrebbe avuto al massimo trentasei ore alla settimana per stare con la propria famiglia: “Presi in considerazione la possibilità di lasciare. Ero giovane, e non intendevo fare il politico per tutta la vita. Allora pensavo: ne vale davvero la pena?”.

    Dopo giorni di caccia e di riflessione, il rappresentante del Wisconsin decise che se fosse rimasto nel Congresso si sarebbe impegnato a fondo per realizzare una riforma del sistema assistenziale. Ma non poteva riuscirci se non assumeva un ruolo di maggior spicco. Quando tornò a Washington chiese a John Boehner di porlo alla guida dei repubblicani all’interno dell’House Budget Committee. Il messaggio di Ryan per Boehner e gli altri suoi colleghi era molto semplice: “Abbiamo abbandonato la strada della responsabilità fiscale, e dobbiamo tornare a percorrerla al più presto”.

    La nuova posizione gli garantì un personale più numeroso e la possibilità di sfruttare a proprio vantaggio il Congressional Budget Office, facendogli svolgere i calcoli pratici. Ryan creò rapidamente un piccolo think tank all’interno del Congresso e si mise al lavoro. “Si può annotare una visione generale su un fazzoletto, ma per realizzare politiche concrete bisogna fare precisamente tutti i conti e i calcoli”.

    Ryan trascorse tutto il 2007 a sviluppare  la sua proposta economica. La presentò come legge il 21 maggio 2008. “Quando la scrissi non chiesi il permesso ai vertici del partito. Pensai che sarebbe stato meglio chiedere il perdono dopo che il permesso prima”. “L’America si trova di fronte a due possibili futuri fiscali ed economici”, scriveva Ryan nell’introduzione del piano. “Nel primo, il governo federale cerca di soddisfare le molteplici esigenze di una popolazione in corso di trasformazione, in un mondo che sta rapidamente cambiando, caratterizzato da politiche sorpassate che esigono livelli sempre più alti di spesa pubblica. Lo sforzo supera le capacità del governo e soffoca l’economia sotto lo schiacciante peso del debito e di tasse troppo elevate. E’ un futuro in cui il migliore secolo dell’America è il secolo passato. L’altro futuro prevede una trasformazione o, più precisamente, una restaurazione dei principi che hanno creato la libertà e la prosperità dell’America”.

    Il 27 gennaio 2010, lo stesso giorno in cui il presidente Obama pronunciò il suo discorso sullo stato dell’Unione, Ryan ripresentò una versione aggiornata della sua roadmap in un articolo pubblicato sul Wall Street Journal: “La differenza tra la mia Roadmap e l’approccio dei democratici non potrebbe essere più netta. Dallo stimolo di un trilione di dollari lo scorso febbraio fino all’attuale, costosissima riforma governativa del sistema sanitario, la leadership democratica ha seguito una strategia progressista che ci porterà al punto in cui la maggior parte degli americani riceverà più benefit di quanto paghi di tasse. Sostanzialmente, un welfare state di stile europeo in cui la disoccupazione alimentata da generosi sussidi diventa uno stile di vita. Gli americani non devono accettare questa strada per il declino. Sono ancora in tempo per scegliere un futuro diverso. Il futuro offerto dalla roadmap per il futuro dell’America. Questa prospettiva si fonda su una visione completamente diversa da quella ora predominante a Washington. Si concentra sul governo e sul ruolo che gli spetta. Riduce le spese del governo e quindi ne contiene le dimensioni”.
    Queste visioni contrapposte emersero  due giorni dopo, quando il presidente accettò l’invito dei repubblicani della Camera a parlare nel loro ritiro di Baltimora. Ryan colse l’opportunità per affrontare direttamente Obama: “Signor presidente, sono con altri alla guida del Budget Committee e quindi, se non le dispiace, vorrei parlare un po’ di bilancio. Con i decreti di spesa che avete trasformato in legge, la spesa interna e quella discrezionale sono aumentate dell’84 per cento. Vorrei semplicemente dire che possiamo fare di meglio e che possiamo cominciare subito”.

    Obama rispose direttamente: “Mi aspettavo di sentirmi porre la questione dell’incremento dell’84 per cento. Ne ho parlato prima con Peter Orszag, il mio consigliere. La verità è che la gran parte degli aumenti nel budget dell’anno passato non sono stati la conseguenza di politiche da noi introdotte, ma degli stabilizzatori automatici necessari a causa della gravissima recessione in cui ci troviamo. Perciò l’aumento del budget era già stato previsto prima ancora che io entrassi alla Casa Bianca”.Il presidente concluse dicendo che chiunque si fosse insediato a Pennsylvania Avenue “avrebbe dovuto affrontare i medesimi aumenti” e che “molte cose erano avvenute automaticamente”. Si sbagliava e Ryan corresse cortesemente il presidente: “No, la spesa per gli stabilizzatori automatici fa parte della spesa obbligatoria. La spesa discrezionale, i decreti che il Congresso – e lei in persona – trasforma in legge, invece è aumentata dell’84 per cento”. Obama, messo all’angolo, chiuse immediatamente lo scambio di opinioni: “Avremo ulteriori e più lunghe discussioni sulle cifre del budget, d’accordo?”. Questo scambio di parole fece guadagnare a Ryan ulteriore rispetto da parte di molti suoi colleghi e una notevole attenzione da parte dell’opinione pubblica. Il presidente ebbe parole di apprezzamento per il rappresentante del Wisconsin, da lui definito “persona onesta e sincera, con una splendida famiglia”. Anche se da questo colloquio con il presidente Ryan è uscito rafforzato, ciò non si è automaticamente tradotto in un maggior sostegno dell’establishment repubblicano per il suo progetto di riforma. La seconda versione della sua Roadmap ha ottenuto l’appoggio soltanto di quattordici suoi colleghi, e la leadership conservatrice non voleva saperne di questa riforma, soprattutto con l’avvicinarsi delle elezioni di midterm nel 2010, che si dimostrarono il vero trampolino di lancio per Paul, che diventò presidente della commissione Bilancio alla Camera. Si impegnò immediatamente per adeguare il budget alle riforme previste dalla sua roadmap. In un dibattito avvenuto poco dopo la riunione del nuovo Congresso e rimasto in larga misura ignoto, la leadership discusse sull’opportunità di dare luce verde a Ryan. Il leader della maggioranza della Camera Eric Cantor espresse riserve sul fatto che uno dei loro sostenesse apertamente un’autentica e radicale riforma dei benefit di diritto o entitlement. Boehner era più disposto ad accettare l’idea. In realtà, non aveva importanza. Ryan era deciso a proseguire indipendentemente da cosa avrebbero detto i suoi colleghi, e poteva contare su un esercito. E quando il presidente Obama propose un budget che si dimostrava incapace di affrontare seriamente il problema della spesa assistenziale, attirandosi anche le critiche di molti giornalisti normalmente a lui favorevoli, i repubblicani videro l’opportunità di evidenziare un contrasto con il presidente sulla leadership.

    Ryan presentò il suo piano di budget il 5 aprile 2011. Includeva una drastica riforma del sistema fiscale, un tetto massimo sulla spesa discrezionale, e, cosa più importante, una radicale revisione di due diritti acquisiti che ingigantiscono il debito. Come aveva già fatto nella sua roadmap, Ryan proponeva di tener bloccato Medicaid e di trasformare Medicare da un programma di benefit garantiti in un programma di supporto assicurativo che avrebbe restituito denaro contante agli anziani per provvedere alla salute. Nel suo piano Ryan non prendeva in considerazione il sistema di previdenza sociale (social security) in quanto convinto che esso può essere trasformato solo con una riforma bipartisan.

    Il piano di budget di Ryan, da lui stesso battezzato “Path to Prosperity” è stato approvato dalla Camera con 235 voti contro 193, senza voti dei democratici e con il sostegno di tutti i repubblicani tranne quattro. Non è passato in Senato, controllato dai democratici, ma ha ottenuto il voto di quaranta membri repubblicani. Alla fine del 2011 Ryan ha leggermente modificato la sua proposta di riforma del sistema Medicare e ha ottenuto l’appoggio del senatore democratico dell’Oregon Ron Wyden. La prima dichiarazione rilasciata da Mitt Romney sul piano di budget di Ryan, tuttavia, è sembrata quasi una completa approvazione: “Applaudo il repubblicano Paul Ryan per avere saputo riconoscere l’imminente crisi finanziaria e per il coraggioso e innovativo contributo intellettuale. Sta muovendosi nella direzione giusta per riuscire a tenere sotto controllo la spesa e il sistema dell’assistenza di diritto. Chiunque abbia letto i miei libri sa perfettamente che la pensiamo nello stesso modo”.

    di  Stephen Hayes

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