
L'ultima bambina
Lo chiamano, senza infingimenti, “feticidio”. La guerra al feto. L’aborto selettivo delle bambine. Ieri l’India ha scelto di combatterlo nella data che ricorda il 9 agosto 1942, il giorno in cui il Mahatma Gandhi ha approvato la risoluzione “Quit India” e l’indipendenza dall’Impero britannico. Per volontà di un ministro per l’Infanzia coraggiosa, Prem Narain, quest’anno il Quit Day è stato dedicato alle bambine a cui viene impedito di nascere, quando l’ecografia rivela che sono del sesso “sbagliato”.
Leggi Una moratoria anche per i maschi di Giuliano Ferrara
Lo chiamano, senza infingimenti, “feticidio”. La guerra al feto. L’aborto selettivo delle bambine.
Ieri l’India ha scelto di combatterlo nella data che ricorda il 9 agosto 1942, il giorno in cui il Mahatma Gandhi ha approvato la risoluzione “Quit India” e l’indipendenza dall’Impero britannico. Per volontà di un ministro per l’Infanzia coraggiosa, Prem Narain, quest’anno il Quit Day è stato dedicato alle bambine a cui viene impedito di nascere, quando l’ecografia rivela che sono del sesso “sbagliato”. “Noi impiegati della pubblica amministrazione ci impegniamo solennemente a fare il possibile, individualmente e collettivamente, per eliminare la selezione del sesso basata sul genere che minaccia la nascita e la sopravvivenza delle bambine”, recita il giuramento indiano. Finora simili iniziative erano state locali. Come nel distretto di Gandhinagar, dove coppie in procinto di sposarsi avevano giurato: “Non ricorreremo mai all’aborto selettivo”. A sollevare l’emergenza quest’anno è stato il censimento indiano del 2011, da cui è uscito che l’equilibrio fra maschi e femmine è sceso a 1.000 contro 914 (nel 1981 le bambine erano 962, nel 1991 sono scese a 945 e nel 2001 a 927). La media mondiale è di 103-106 maschi ogni 100 femmine. L’India è diventata così la nazione al mondo con la percentuale più bassa di donne.
Nel 1985 la pioniera americana Mary Anne Warren fu la prima a intravedere i rischi dello sterminio volontario di genere nel saggio “Gendercide: The Implications of Sex Selection”. Oggi l’aborto selettivo ha assunto proporzioni così epidemiche da minacciare l’equilibrio demografico mondiale. Molti i libri usciti, come “Mai nate” di Anna Meldolesi e “Unnatural Selection”, il saggio di Mara Hvistendahl che negli Stati Uniti ha fatto furore. “Così come nel corso della storia gli eufemismi sono stati usati per mascherare l’assassinio di massa, termini come ‘selezione sessuale’ sono oggi coperture per un omicidio su larga scala”, ha dichiarato il dottor Puneet Bedi, consulente del governo indiano. Una famosa giornalista indiana, Gita Aravamudan, ci ha scritto “Disappearing Daughters”, le bambine mai nate a causa dell’aborto selettivo, in cui scrive che “l’ecografia si è trasformata in strumento di morte e un intero genere è in corso di sterminio”.
100 milioni secondo i dati più recenti, forse di più. Nel 2010 l’Onu, difensore della “libertà riproduttiva” nel mondo e responsabile di queste politiche abortive di pianificazione familiare, ha ammesso che 96 milioni di bambine sono “scomparse” in India e Cina a causa dell’aborto selettivo.
Si sta riscrivendo la saga biologica umana per mezzo dell’aborto. In India e Cina è venuta meno una delle grandi costanti della specie umana, la superiorità numerica delle femmine sui maschi. Sumita Thapar dell’Unicef ha detto che “da quando negli anni Settanta è stata realizzata la tecnologia per la determinazione del sesso, l’aborto selettivo è sfociato in una saga dell’orrore”. Il famoso dissidente dei laogai cinesi, Harry Wu, l’ha chiamata in un bel libro “La strage di innocenti”. In Cina vige un’ideologia eugenetica mostruosa che i figli li vuole “unici, maschi e sani”, mentre in India, paese-pioniere del capitalismo democratico, il genocidio di genere è lasciato alla discrezione delle famiglie, con la complicità di autorità e corporation che forniscono gli strumenti per l’aborto.
Prima degli anni Ottanta, alle bambine indiane veniva riempita la bocca di riso, per soffocarle, oppure finivano ammazzate con grandi dosi di oppio. O anche, semplicemente, gettate via, lasciate morire di fame. Poi è arrivata l’ecografia. L’arcivescovo Oswald Gracias di Bombay, che nel 2008 aveva aderito alla moratoria del Foglio contro l’aborto eugenetico, parla di “crimine contro l’umanità”. Nel 1990 fu il guru liberal indiano Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia, a lanciare l’allarme: “Almeno 60 milioni di bambine sono state cancellate in seguito a infanticidi o aborti selettivi di feti femmine, resi possibili dai progressi tecnologici”. Il professor Theodor Winkler, uno dei massimi esperti mondiali di discriminazione femminile, è ancora più esplicito e parla di “una pratica eugenetica non riconosciuta e resa silenziosa”. Scrive Winkler che “l’intera demografia asiatica entrerà in crisi se non fermeremo il massacro di Eva”. Una certa pubblicistica occidentale aveva fatto intendere che l’aborto selettivo fosse una piaga dei poveri, ma il censimento 2011 ha chiarito che le aree con le peggiori statistiche sono quelle più ricche. Secondo il demografo dell’American Enterprise Institute, Nicholas Eberstadt, l’aborto non ha nulla a che fare con l’arretratezza economica e culturale, ma dipende dal boom di tecnologie diagnostiche. In Asia, una bambina oggi ha il cinquanta per cento di possibilità di sopravvivere a uno scanner. E’ stato girato un film, “A nation without women”.
Altri parlano dell’“ultima bambina”.
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