L'omertà olimpionica (e non solo) è la grande arma della Cina

Che la sedicenne nuotatrice cinese Ye Shiwen o le cicliste che ieri hanno distrutto il record del mondo nello sprint siano drogate, geneticamente modificate o siano soltanto talenti naturali senza precedenti scovati grazie a un bacino demografico numericamente favorevole, non cambia molto nella percezione del fenomeno dall’esterno. I cinesi, alle Olimpiadi come nei mercati e nella gestione del potere, sono oscuri e reticenti, dunque sospetti, questa è la rappresentazione sintetica.

    Che la sedicenne nuotatrice cinese Ye Shiwen o le cicliste che ieri hanno distrutto il record del mondo nello sprint siano drogate, geneticamente modificate o siano soltanto talenti naturali senza precedenti scovati grazie a un bacino demografico numericamente favorevole, non cambia molto nella percezione del fenomeno dall’esterno. I cinesi, alle Olimpiadi come nei mercati e nella gestione del potere, sono oscuri e reticenti, dunque sospetti, questa è la rappresentazione sintetica. Vale per tutti il ragionamento esposto da John Leonard, il capo dell’associazione degli allenatori di nuoto americana: “La storia del nostro sport dice che ogni volta che vediamo qualcosa di incredibile si scopre più tardi che c’entrava il doping”. Gli americani chiedono garanzie che la ragazzina che ha battuto il record del mondo dei quattrocento misti con un tempo inaudito non sia un essere creato in laboratorio, chiedono controlli più rigidi, test più sofisticati, chiedono insomma trasparenza da parte dei cinesi, esattamente quello che i cinesi non possono fornire, perché proprio la segretezza è la forza della Cina.

    Tradizionalmente lo sport è un canale privilegiato per mettere in comunicazione chi rifiuta di parlare attorno a un tavolo diplomatico o di fare partnership commerciali, ma nel caso cinese la tradizione non ha presa. La comunità sportiva di Pechino è isolata dal mondo almeno quanto il suo apparato politico e i businessmen che hanno acquistato il 15 per cento dell’Inter, puntando in prospettiva a una quota ben più significativa, sono appunto businessmen e come tali agiscono a livello globale. Lo sport, invece, è una monade incomunicabile. Alle Olimpiadi di Pechino le autorità si sono rifiutate di mettere a disposizione degli atleti di altre nazioni gli impianti prima delle gare ufficiali, pratica che non risponde soltanto a un minimo senso della cortesia ma a un protocollo de facto nell’agire olimpico. Solamente gli atleti cinesi avevano accesso alle strutture ufficiali, cosa che ha alimentato il sospetto che in quegli impianti fosse contenuto chissà quale segreto. Ora è il momento del doping genetico, ma il risultato non cambia: un generale scetticismo nei confronti della segretezza cinese, con relative richieste di trasparenza, valore dal retrogusto occidentale al quale Pechino non è affatto sensibile.

    Il modo cinese di (non) rapportarsi con le informazioni può essere giudicato sgarbato o patologico, ma è lì che risiede la grandezza di una potenza che ogni volta che omette qualcosa viene automaticamente tacciata di praticare una sospetta arte dell’omertà. La Cina sportiva, come quella politica, militare, economica si nutre di riservatezza, ed è anche grazie a questa che i suoi atleti vincono medaglie a mani basse (evitando di perdere tempo e concentrazione su Twitter) e le sue aziende si stanno smarcando dalla mitologia piatta della manodopera a basso costo. L’Economist in edicola oggi dedica la copertina a Huawei, l’azienda di telefonia che mette paura al mercato con il suo mix di segreti e di innovazione, e qualche settimana fa il manager e osservatore economico Byron Wien, intervistato dal Wall Street Journal, diceva che la storia per cui i cinesi si limitano ad assemblare invenzioni di altri, tipo l’iPad, è finita: “La Cina oggi sta depositando un sacco di brevetti. Ci sono molti cinesi preparati e alla fine diventeranno anche degli innovatori”.

    La dinamica che sta trasformando la Cina da produttore a innovatore si riflette sul medagliere olimpico, reso ricco da atleti che sono sempre più preparati. La segretezza circa i metodi con cui la Cina raggiunge i suoi obiettivi è il passaggio obbligato per una potenza globale che aspira a superare i suoi competitor, sportivi o aziendali che siano, e a Pechino le critiche sulla paranoia dei loro metodi sono accolte con un’alzata di spalle.