Ora una Bce 2.0

Perché a Draghi non è bastato abbassare i tassi per rassicurare i mercati

Redazione

Finalmente la Banca centrale europea (Bce) è riuscita a infrangere la soglia psicologica dell’1 per cento portando il tasso di riferimento allo 0,75 per cento, il minimo storico dalla sua nascita. Finalmente perché, come in tutte le istituzioni europee, anche qui siamo sempre in profondo ritardo, “dietro la curva” come direbbero gli americani. L’altra buona notizia è che il tasso al quale le banche commerciali potranno ora parcheggiare moneta presso la Bce è zero.

di Pierpaolo Benigno

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    Finalmente la Banca centrale europea (Bce) è riuscita a infrangere la soglia psicologica dell’1 per cento portando il tasso di riferimento allo 0,75 per cento, il minimo storico dalla sua nascita. Finalmente perché, come in tutte le istituzioni europee, anche qui siamo sempre in profondo ritardo, “dietro la curva” come direbbero gli americani. L’altra buona notizia è che il tasso al quale le banche commerciali potranno ora parcheggiare moneta presso la Bce è zero. Si cerca di rimettere in circolo quei 790 miliardi di liquidità che rimangono ora inattivi, per far funzionare di nuovo il mercato interbancario europeo e i mercati creditizi in generale.

    La riduzione dei tassi è stata una buona sorpresa, attesa ma non troppo, perché il deprezzamento dell’euro, d’acchito dopo la notizia, è stato significativo a rimarcare la novità. Altri tagli dovranno arrivare fino a portare il tasso di riferimento a zero, perché l’area euro sta entrando tutta assieme in una nuova recessione che è una grande incognita, con una periferia che già vi sta precipitando. Ma appunto non è questa una semplice recessione, delle tante che giustificano un semplice aggiustamento dei tassi. Piuttosto siamo di fronte a un processo, forzato o volontario, di riduzione dei debiti pubblici e privati, di alleggerimento significativo delle leve finanziarie. Processo che non sappiamo ancora se avverrà in maniera ordinata o no. Tanti agenti economici (governi, famiglie e banche) devono riaggiustare i propri bilanci e per fare questo sono obbligati a ridurre le proprie spese, a risparmiare di più. Inevitabilmente la domanda aggregata si contrae e l’economia va in profonda recessione. Il letargo giapponese, quasi un ventennio, è una lezione importante da tenere presente.

    La politica monetaria non può fare molto in questi casi, ma certo non deve fare danni. Quando è in atto un profondo processo di deleveraging, in questo caso almeno triplice (ripeto: governi, banche, famiglie), il tasso di interesse naturale di equilibrio di wickselliana definizione – Wicksell, economista di scuola austriaca della fine dell’Ottocento, fu il primo a teorizzare il concetto di tasso naturale come punto di equilibrio per la politica monetaria –, è negativo. (segue dalla prima pagina)
    Un tasso reale negativo si ottiene o abbassando i tassi d’interesse nominali o alzando le aspettative d’inflazione. I tassi nominali, per ragioni di arbitraggio, hanno un limite a zero. Raggiunta questa soglia, e sarebbe meglio lo si facesse in fretta, bisognerà ricorrere a forme di politica monetaria non convenzionale. Ovvero una politica monetaria che agisce in modo non tradizionale sul meccanismo di trasmissione, alleviando i costi per i debitori nel ripagare i propri debiti e stimolando chi ha a disposizione liquidità per rimetterla in circolazione al fine di alimentare la spesa e la domanda aggregata.

    Quello di Draghi è dunque un passo nella giusta direzione, ma non basta. Rischia di rimanere timido e isolato. Mancano ancora impegni decisi, quelli propri di una Banca centrale che persegue con fermezza anche la stabilizzazione macroeconomica e non solo quella di sostegno delle banche. Non si sa per quanto tempo i tassi rimarranno bassi, nulla viene detto sui passi successivi. Anzi disorienta sentire che una possibile uscita dalla recessione potrebbe avvenire addirittura alla fine di quest’anno. C’è il rischio che ci si dimentichi della periferia, dove sotto la scure di politiche fiscali fortemente restrittive la stagnazione sarà di sicuro prolungata.

    Manca ancora la soluzione completa al problema dei debiti sovrani europei. Chi è il garante di ultima istanza? Il vertice della zona euro della scorsa settimana non ha dato risposta. Non possono certo essere l’attuale Fondo salva stati (l’Efsf) o la sua versione permanente (l’Esm) con i loro fondi limitati, insufficienti a coprire Spagna e Italia. C’è bisogno di una licenza bancaria che permetta il finanziamento presso la Bce. Ieri Draghi l’ha ancora negata. Il punto critico è nel ristabilire un saldo e “sano” legame fra politica monetaria e politica fiscale, con la moneta ultima àncora di fiducia del debito sovrano. E questo può essere fatto senza creare azzardo morale, inflazione e condizionatamente a un processo ormai in corso di disciplina di bilancio pubblico.
    Ieri, le vere attese del mercato erano riposte su una schiarita di Draghi in questa direzione. Non è un caso che, nonostante si sia infranta la storica soglia dell’1 per cento, gli spread siano volati e le Borse crollate. Riallacciamo ancora una volta le cinture di sicurezza: turbolenze in arrivo.

    di Pierpaolo Benigno

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