L'Unione dei vertici

Fuori va in scena il caos eurogreco

David Carretta

Nella cena dei leader europei si è discusso di “idee forti” come “gli investimenti pubblici e gli Eurobond”, ha spiegato il premier italiano Mario Monti. Ma “per diversi stati membri sono idee non digeribili nel breve periodo”. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha chiesto una “forte volontà di compromesso” in vista delle decisioni che dovranno essere prese al vertice di fine giugno. Per Monti, è stata “una riunione forse più importante di tante altre perché è una pagina aperta, non un testo già quasi definito”.

    Bruxelles. Nella cena dei leader europei si è discusso di “idee forti” come “gli investimenti pubblici e gli Eurobond”, ha spiegato il premier italiano Mario Monti. Ma “per diversi stati membri sono idee non digeribili nel breve periodo”. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ha chiesto una “forte volontà di compromesso” in vista delle decisioni che dovranno essere prese al vertice di fine giugno. Per Monti, è stata “una riunione forse più importante di tante altre perché è una pagina aperta, non un testo già quasi definito”. Si sono rotti tabù ed è andato in scena l’atteso scontro tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il neo eletto presidente francese François Hollande. Ma, al di là della resa dei conti su Eurobond e stimoli alla crescita, i leader – al momento in cui questo giornale andava in stampa – avevano due questioni ancora più urgenti da discutere: i piani in caso di uscita della Grecia dall’euro e la ricapitalizzazione delle banche in Spagna. Perché – come spiega al Foglio una fonte diplomatica – gli Eurobond e il Patto per la crescita “non vedranno mai la luce se l’euro dovesse implodere prima”, magari a causa di una fuga di correntisti dalle banche dei paesi in difficoltà e il conseguente effetto domino. Una lettura condivisa dai mercati che, a giudicare dalle chiusure, non scommettevano su un accordo: le Borse europee hanno chiuso in profondo rosso (Milano ha perso il 3,8 per cento), l’euro ha toccato i minimi rispetto al dollaro dall’agosto 2010, mentre gli spread di Btp e Bonos sui Bund sono tornati a salire.

    “L’impegno a salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro” è stato ribadito dai leader. A parole tutti dicono che faranno il possibile per mantenere Atene nell’Unione monetaria. Ma ormai è chiaro che occorre prepararsi al peggio in vista delle elezioni del 17 giugno, trasformate in un referendum sull’euro. Il premier britannico, David Cameron, ha chiesto di “inviare un messaggio molto chiaro ai greci. C’è una scelta: potete votare per stare nell’euro con tutti gli impegni che avete assunto, o se votate in altro modo, sappiate che voterete per andarvene”.

    Lunedì l’Euro Working Group – che riunisce gli alti funzionari dei ministeri del Tesoro della moneta unica – ha chiesto a ciascun paese di “preparare individualmente piani di contingenza per le potenziali conseguenze di un’uscita greca dall’euro”, ha detto alla Reuters un responsabile europeo. In un documento si parla di “divorzio consensuale” che costerebbe 50 miliardi, ma senza tenere conto dei rischi contagio: “Senza dubbio i mercati non avranno più fiducia nell’euro”. Le smentite di rito di Atene sono state a loro volta smentite dal ministro delle Finanze belga, Steven Vanackere, secondo cui sarebbe “irresponsabile” non avere piani. Banca centrale europea e Bundesbank tedesca hanno istituito apposite unità per gestire gli eventi greci. Nel suo bollettino mensile, la Buba ha scritto che se la Grecia non dovesse mantenere i propri impegni sulle riforme “dovrà sopportarne le conseguenze”, poi ha aggiunto che un’uscita del paese sarebbe “gestibile”. L’ex premier Lucas Papademos è (ancora) meno ottimista: in un’intervista al Wall Street Journal ha stimato i costi complessivi tra i 500 e 1.000 miliardi di euro. “La cosa cruciale è che i leader della zona euro devono avere piani di emergenza”, in modo da “mantenere le nostre economie al sicuro”, ha avvertito Cameron. Ma non c’era solo la Grecia a preoccupare i commensali di ieri: il premier spagnolo, Mariano Rajoy, ha rifiutato finora l’assistenza del Fondo salva stati perché non vuole una Troika a Madrid, mentre i leader europei sono divisi sugli aiuti diretti alle banche.

    Hollande ha posto la barra molto alta nella sua sfida a Merkel, mettendo sul tavolo della cena “liquidità, sostenibilità e finanziamento del debito”. La cancelliera tedesca, appoggiata da Olanda e Finlandia, ha ribadito che i trattati “vietano” gli Eurobond e che comunque “non contribuiscono a rilanciare la crescita”. Il presidente francese vorrebbe anche che la Bce tornasse in prima linea per combattere la crisi, finanziando direttamente il Fondo salva stati e comprando titoli dei paesi in difficoltà. Una posizione sostenuta dal premier spagnolo, Mariano Rajoy: “Ci sono degli strumenti più rapidi” del Fondo salva stati “per risolvere i problemi di finanziamento e di liquidità”. Pensa alla Bce, e lo dice. Anche per Cameron l’euro ha bisogno di una “Banca centrale che lo sostenga”. Fatica sprecata? Il predecessore di Hollande, Nicolas Sarkozy, ci aveva provato invano scontrandosi con il “nein” di Merkel. Ma la Bce è indipendente e così i destini della zona euro potrebbero essere nuovamente nelle mani di Mario Draghi.