Non mi bevo l'Italia sedicente eroica del fucile a pompa

Giuliano Ferrara

Non bevo l’Italia eroica del fucile a pompa e l’Italia luttuosa delle vedove degli imprenditori e dei povericristi suicidi. Credo di essere capace di compassione e di dolore anche io. E’ un fatto privato, con risvolti pubblici. Compassione per l’imprenditore debitore del fisco che sequestra a mano armata una quindicina di persone, ma non torce un capello ad alcuno, parla del più e del meno con un meraviglioso brigadiere dei carabinieri, intimidisce ma senza usargli una speciale violenza.

    Non bevo l’Italia eroica del fucile a pompa e l’Italia luttuosa delle vedove degli imprenditori e dei povericristi suicidi. Credo di essere capace di compassione e di dolore anche io. E’ un fatto privato, con risvolti pubblici. Compassione per l’imprenditore debitore del fisco che sequestra a mano armata una quindicina di persone, ma non torce un capello ad alcuno, parla del più e del meno con un meraviglioso brigadiere dei carabinieri, intimidisce ma senza usargli una speciale violenza che non sia quella del sequestro un coraggioso e composto impiegato dell’agenzia delle entrate, ed è già virtualmente perdonato oltre che portato ad esempio civile da quei pazzi sconsiderati dei leghisti di ora. Robaccia preelettorale. Che si inserisce bene in un clima artatamente creato dai media, come sempre avanguardia della cattiva coscienza nazionale, quella che fa vendere e guadagnare con il dolore altrui e con la costruzione, la messinscena del dolore. I titoli sulle tasse, sul carrello della spesa, sulla quarta settimana alla fame, sulla disoccupazione, come quelli sulla malasanità, sui politici che rubano, sul popolo che geme mi fanno schifo. Ribrezzo provo per la eterna ripetizione dell’identica sequenza televisiva, il popolo infuriato, la classe dirigente sbertucciata e messa in fuga da comici quattrinari, ossessivamente proni allo schema della battaglia di sputtanamento degli altri senza conseguenze per loro. Il coraggio un tanto virile di dire la verità latita, la manliness non c’è, c’è il brodo di giuggiole a ogni notizia tragica inscrivibile in una farsa tragicomica, quella di un paese a pezzi, che non ha altro da fare, non ha alternative al buttarsi dalla finestra. Dovremmo batterci perché l’Italia porti in Europa una strategia credibile di sviluppo economico fondata su un diverso governo, espansivo, dell’euro, ma niente da fare, ci battiamo il petto, invece.

    Se quei titoli e quelle sequenze fossero materiale autentico di documentazione e di opinione, il paese sarebbe unito dietro il tentativo di fare delle riforme serie, che non sono mai a costo zero, per tirarci fuori dalla realtà di una comunità che vive al di sopra dei suoi mezzi. Se fossero genuini, qualcuno direbbe che il debito pubblico è tutt’uno con i difetti della crescita del paese, e lo ha portato alla stagnazione per un eccesso di protezione e per una formidabile e diffusa inclinazione al non lavoro, al non investimento, alla ricerca di protezioni quali che siano, oltre a una mancanza di libertà, la questione decisiva, e di responsabilità. Mancanze le cui origini sono nella famiglia e nella scuola e nell’istruzione superiore, anche quelli luoghi in cui si è completamente oscurata l’idea quasi religiosa di una vita fatta per essere vissuta e non piagnucolata. La logica italiana è sempre la stessa. La sottomissione a poteri ai quali si chiede tutto, senza che la famosa società civile si riprenda il suo di potere, e imponga allo stato di limitarsi e di darsi da fare per le poche cose in cui è utile, anzi essenziale. Ho visto un blog di un ragazzo che si è stufato delle lamentele, e dice di darsi da fare. Magari è un po’ lezioso, suona da primo della classe, ma quella è la direzione giusta. Chi ha avuto fortuna ha un gran senso di colpa, chi se la passa appena bene, senza problemi esistenziali legati alla crisi, pensa di detenere un privilegio. Non è vero, o almeno non è sempre vero. E poi ce n’è voluto di tempo per sapere che il trenta per cento dei contribuenti è escluso dallo spauracchio dell’Imu, che finalmente si deciderà di dare ai comuni e ai sindaci la facoltà di tassare i cittadini, in uno scambio con i servizi del territorio, e con la loro qualità, che sarà la condanna di questi sindaci-capipopolo totalmente deresponsabilizzati oppure la loro gloria, se si responsabilizzeranno. Banali elezioni amministrative, senza senso comune, affette dal civismo demagogico e da rarissimi casi di candidature a una buona amministrazione (Verona, Genova) hanno determinato il solito cortocircuito partitocratico, la delegittimazione delle strategie anticrisi. Il governo Monti è diventato impopolare alla prima vera prova, e c’è una logica in questa teoria diffusa del massacro sociale usata sempre e insistentemente, di volta in volta dalla destra o dalla sinistra, per impedire la sana e seria decisione politica pubblica.

    Le cose importanti sono altre. L’impiego pubblico improduttivo è vasto, possente, pesante, ma nessuno per fortuna e per scelta è stato finora chiamato a pagare alla greca, con i tagli agli stipendi, e nemmeno con più ragionevoli misure di razionalizzazione, risparmio e mobilità. I sindacati fanno due parti in commedia, vecchie questioni marciscono. A Zacinto ci sono cinque, seicento ciechi falsi e una ventina veri. Vogliamo fare il conto delle pensioni di invalidità, delle sovvenzioni non dovute a imprese malsane, dei privilegi della pubblica amministrazione, a partire dai magistrati, così superiori a quelli di tanti altri italiani nel mirino? No che non vogliamo farlo questo conto, nell’Italia eroica del fucile a pompa e della rivolta antifiscale, quando le tasse sono pagate con generosa negligenza da milioni e milioni di cittadini, l’unico conto che sappiamo fare è nella convenienza a alzare in modo tenorile tutti i toni del canto e della lamentazione melodrammatica, una sconcertante gara a farci male da soli.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.