Salazar a Via Solferino

Redazione

Ora che quasi tutti, e comunque i partiti della maggioranza, hanno escluso la chiusura anticipata della legislatura, Giovanni Sartori, rinverdisce l’ipotesi del voto anticipato, in uno scenario politico e istituzionale ricco di forzature tendenzialmente autoritarie. Mario Monti dovrebbe provocare la crisi presentando decreti studiati appositamente per farli bocciare dal Popolo della libertà. Incaricato per gli affari correnti dovrebbe scavalcare il dettato costituzionale ed esercitare i “pieni poteri di governo”.

    Ora che quasi tutti, e comunque i partiti della maggioranza, hanno escluso la chiusura anticipata della legislatura, Giovanni Sartori, rinverdisce l’ipotesi del voto anticipato, in uno scenario politico e istituzionale ricco di forzature tendenzialmente autoritarie. Mario Monti dovrebbe provocare la crisi presentando decreti studiati appositamente per farli bocciare dal Popolo della libertà. Incaricato per gli affari correnti dovrebbe scavalcare il dettato costituzionale ed esercitare i “pieni poteri di governo”. Nelle inevitabili consultazioni elettorali dovrebbe sfruttare il premio di maggioranza per presentare una lista tecnocratica destinata, secondo Sartori, a risultare vincente, in modo da poter continuare a governare senza i vincoli di consenso di questo Parlamento. Correttamente Sartori inscrive questo disegno nella restaurazione di fatto delle costituzioni ottocentesche che prevedevano la sospensione dei diritti politici con la proclamazione dello stato d’eccezione. In effetti è con un percorso simile a quello indicato dall’editorialista del Corriere che si insediò il regime salazariano. E’ questo che serve all’Italia? A quali problemi la svolta tecnocratica proposta intende dare soluzione?

    Quello citato è il rischio che i provvedimenti del governo vengano stravolti nell’iter parlamentare. In realtà la maggioranza ha agito in questi mesi per sostenere ove necessario con opportune correzioni l’azione del governo ed è impegnata a proseguire in questa pratica. L’altra preoccupazione è che alla scadenza elettorale fisiologica si creino le condizioni per un ritorno alla normale dialettica politica. I problemi strutturali dell’economia non si risolvono in un anno, su questo Sartori ha ovviamente ragione, ma non si capisce perché essi non possano essere affrontati da un governo politico che goda della maggioranza elettorale, governo  di una parte o meglio di una larga coalizione, che si avvalga per quel che serve anche di apporti tecnici. Se poi, durante l’ultimo anno di legislatura, si semplificherà la struttura istituzionale e si modificherà la legge elettorale (come Sartori ha sempre reclamato, quando l’operazione sembrava impossibile), le condizioni per una democrazia governante che si assuma la responsabilità del risanamento e della crescita saranno rafforzate. Quale sarebbe l’esito di una tecnocrazia plebiscitaria come quella propugnata da Sartori invece è un’incognita piuttosto avventurista.