
Lasciate riposare De Pedis
E’ universalmente apprezzato il senso dell’ironia di quell’attore antico che volle fare incidere sulla sua lapide funeraria un ultimo motteggio: “Sono morto tante volte, ma mai così”. Renatino De Pedis non era un attore, o se mai lo era a modo suo mentre calcava le scene del fin troppo celebre romanzo criminale della Magliana. Eppure avrebbe diritto a pronunciare le stesse parole, dall’aldilà (o da laggiù, a seconda delle preferenze), ora che un malinteso senso delle convenienze impadronitosi del Vaticano sta per sloggiarlo dalla cripta di Sant’Apollinare in Roma.
E’ universalmente apprezzato il senso dell’ironia di quell’attore antico che volle fare incidere sulla sua lapide funeraria un ultimo motteggio: “Sono morto tante volte, ma mai così”. Renatino De Pedis non era un attore, o se mai lo era a modo suo mentre calcava le scene del fin troppo celebre romanzo criminale della Magliana. Eppure avrebbe diritto a pronunciare le stesse parole, dall’aldilà (o da laggiù, a seconda delle preferenze), ora che un malinteso senso delle convenienze impadronitosi del Vaticano sta per sloggiarlo dalla cripta di Sant’Apollinare in Roma. Nessuno può scegliersi i propri morti, ma c’è facoltà di decisione su come assicurare loro degna (o indegna) sepoltura. Deve perciò esserci una ragione non banale se qualcuno, per corrispondere alla sentita richiesta di un quasi epico malvivente, stabilì che potesse riposare per sempre sotto l’altare di quella chiesa; luogo peraltro nient’affatto casuale, perché degno fin dal medioevo di eroi eponimi e benefattori cittadini. Proprio a questo concetto si richiamò a suo tempo, obliquamente certo del fatto suo, Giulio Andreotti: “Ecco, De Pedis magari non era proprio un benefattore per tutti, ma per Sant’Apollinare sì”. Non più, evidentemente.
Su De Pedis e sul suo singolare legame con ambienti vaticani grava un rumore di fondo durevole, accresciuto dalle legittime aspettative della famiglia di Emanuela Orlandi – il mistero della sua scomparsa avrebbe a che fare con il contenuto della tomba del boss della Magliana – e si addensano tutti i caratteri del giallo a tinte nerissime. Quale segreto indicibile trapelerà da quel sepolcro, una volta scoperchiato? Macabra scena, anche soltanto a immaginarsela. Pratica altomedievale che richiama il famigerato “Sinodo del cadavere”, il processo inflitto alla salma papale di Formoso, rivestita dei paramenti per l’occasione e issata su di un trono. In qualità di morto, Formoso non ebbe grandi chance di schivare la condanna all’indegnità. Sorte simile incalza De Pedis. Alla turba degli inconsolabili, dei moralisti e dei necrofili non basterà l’apertura della tomba, poiché una condanna non scritta ma già recitata in pubblico vuole che i resti finiscano altrove, lontano da un luogo che qualcuno s’illude così di purificare.
Doppio errore, se non pure ingiustizia. Ammesso che De Pedis si fosse comprato in Sant’Apollinare il suo segmento di beatitudine eterna, il fatto è passato in giudicato dacché la falce di Saturno l’ha messo tra le cose che non possono non essere accadute: nemmeno il tempo può cancellarle. Se invece quella compravendita non fosse avvenuta, resterebbe comunque un mucchio di ossa sulle quali l’accanimento è certo peggio della venerazione, della curiosità o della paura.


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