
La favola triste dell'Eliseo
I francesi si avviano verso il voto di domenica per il primo turno delle presidenziali, ma non si direbbe che i candidati si stiano battendo per le più importanti elezioni europee dall’inizio della crisi economica. Cinque anni fa Nicolas Sarkozy vinse raccontando ai suoi sostenitori crude verità sulla necessità della crescita economica, sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività nell’economia globale.
I francesi si avviano verso il voto di domenica per il primo turno delle presidenziali, ma non si direbbe che i candidati si stiano battendo per le più importanti elezioni europee dall’inizio della crisi economica. Cinque anni fa Nicolas Sarkozy vinse raccontando ai suoi sostenitori crude verità sulla necessità della crescita economica, sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività nell’economia globale. Questa volta, gli sfidanti per l’Eliseo (compreso Sarkozy) discutono, in un modo o nell’altro, di favole. Non stupisce che i mercati siano nervosi. L’economia francese è in una crisi severa, per non dire insopportabile. Il debito pubblico, al 90 per cento del pil, è più alto rispetto a quello della Spagna e si avvicina a quello irlandese. L’economia è stagnante da cinque anni. Il costo del lavoro è cresciuto costantemente per più di un decennio e l’alto tasso di disoccupazione è diventato cronico. Un quarto dei giovani è senza lavoro. Molti governi europei stanno studiando nuove soluzioni su questi temi, e le recenti elezioni in Spagna, Portogallo e Irlanda hanno portato i candidati a impegnarsi sulle riforme.
Non così in Francia, dove gli sfidanti alla presidenza hanno raccontato una versione del paese che esiste soltanto nelle menti della sinistra più romantica. Nicolas Sarkozy, il candidato del centrodestra, propone di ridurre il deficit di bilancio aumentando le tasse in nome della “solidarietà”. Oltre a quanto già proposto sulle imposte a carico delle aziende e dei cittadini, e il supplemento del 4 per cento sui redditi più alti, Sarkozy promette anche “una tassa d’uscita” per i cittadini francesi che si trasferiscono all’estero, presumibilmente per compensare le entrate che verranno a mancare quando tutti questi nuovi prelievi costringeranno molti francesi a lasciare il paese. Per quanto riguarda le riforme di cui parlano tutti i politici europei, Sarkozy dice alcune cose giuste, ma non ha la forza per riproporre le promesse (per lo più disattese) fatte nel 2007. Nel programma di 32 punti presentato questo mese il presidente delinea sì una riforma del lavoro, ma la maggior parte delle proposte sono vaghe (la creazione di una “banca per i giovani”) o balzane (la promozione della lingua francese e i valori della Repubblica). Sarkozy propone la riduzione delle tasse per i datori di lavoro, compensandole con l’aumento dell’Iva e delle tasse sulle rendite degli investimenti. Ciò presuppone che ci saranno ancora proventi derivanti da investimenti in Francia una volta che la tassa sulle transazioni finanziarie voluta da Sarkozy sarà entrata in vigore ad agosto.
La campagna di Sarkozy è particolarmente deludente se la si paragona a quella di cinque anni fa. Promettendo una rupture con il passato, diceva ai suoi elettori che non avrebbero più potuto permettersi uno stato tentacolare che coccola i lavoratori e scaccia gli imprenditori. Quest’anno Sarkozy sembra accontentarsi di rafforzare un modello che è ancora più disastrato di prima. Se l’attuale presidente riconquisterà l’Eliseo, lo avrà fatto voltando le spalle a quella rinascita del centrodestra che lo aveva portato alla vittoria. Il rivale socialista rappresenta un ritorno al passato di tipo ancora diverso. La campagna di François Hollande ha adottato lo stile tipico della vecchia sinistra che i più avevano dato per morta dopo il 2007. Tutti i progetti di politica economica di Hollande affondano le radici in un populismo punitivo. Secondo gli ultimi sondaggi, il candidato socialista è avanti con il 29 per cento dei consensi rispetto al 24 per cento assegnato a Sarkozy al primo turno e anche il margine di vantaggio previsto al ballottaggio è ampio. Hollande dice di non “essere pericoloso” per i ricchi, dal momento che vuole soltanto la confisca del 75 per cento dei redditi superiori al milione di euro, e il 45 per cento dei redditi superiori a 150 mila euro. Tuttavia si tratta di un conclamato nemico della finanza, deciso a sanzionare ulteriormente compagnie petrolifere e società finanziarie. Vuole anche aumentare la tassa sui dividendi e l’Iva sui beni di lusso. Tutto questo è necessario, dice Hollande, per abbattere l’enorme debito che Sarkozy lascerà in eredità alla Francia. In realtà, il candidato socialista sta recitando il ruolo di Babbo Natale, e promette di tutto e di più agli elettori, mentre gli altri governi europei mostrano moderazione e severità. Nel sacco dei regali di Hollande ci sono 60 mila nuovi posti di lavoro, sussidi didattici, sovvenzioni per nuovi alloggi, maggiore controllo sui canoni d’affitto e aumento del finanziamento pubblico per le piccole e medie imprese. Il salario minimo verrebbe portato a 1.700 euro al mese, senza contare la promulgazione di una legge per combattere i licenziamenti. Infine, promette di cancellare la più importante conquista della politica interna di Sarkozy: l’aumento dell’età pensionabile da 60 a 62 anni.
Hollande non era la prima scelta dei socialisti per la sfida di quest’anno. Candidatosi dopo gli scandali sessuali di Dominique Strauss-Kahn, il mite Hollande ha lottato per evitare che il consenso attorno alla sua persona migrasse verso il Partito della sinistra di Jean-Luc Mélenchon, che vuole ritirare la Francia dalla Nato e propone una tassa del 100 per cento su tutti i redditi superiori a 360 mila euro. Il surrealista Mélenchon ha cominciato a emergere a febbraio e ora i sondaggi lo danno attorno al 15 per cento. Sarkozy, invece, ha dovuto affrontare le sfide provenienti da destra. Il Front National di Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie, ha abbandonato l’immagine neofascista, ma conferma la difficoltà della sua posizione sull’esternalizzazione del lavoro, la sicurezza e l’immigrazione. Le sparatorie di Tolosa del mese scorso hanno rafforzato Sarkozy su questi temi, ma il seguito di Le Pen tra i giovani e i delusi rimane forte. Uno dei 32 punti del programma di Sarkozy è ridurre della metà il flusso dell’immigrazione.
Sia Sarkozy che Hollande sostengono che le loro piattaforme economiche saranno in grado di ridare la tripla A alla Francia, persa lo scorso gennaio. Ma in quel regno delle favole che è la campagna elettorale, le ragioni del declassamento (e più in generale dei guai finanziari del paese) non vengono cercate nelle politiche che hanno bloccato la crescita. I candidati preferiscono dare la colpa agli immigrati, alle agenzie di rating, agli speculatori, alla Banca centrale europea. In altre parole, incolpano qualsiasi cosa ma non i decenni di fallimenti a livello di leadership politica che hanno precipitato la Francia nella crisi. Sono pochi i sondaggi che danno a Sarkozy concrete possibilità di vittoria se ci sarà un testa a testa nel ballottaggio del 6 maggio. Un’indicazione di come si sta muovendo l’elettorato si avrà dall’affluenza al primo turno, che dovrebbe essere più bassa rispetto al 2007. Cinque anni fa agli elettori si chiedeva di scegliere tra modernità e declino. Scelsero la modernità, ma hanno ottenuto comunque il declino. Un alto tasso di astensione domenica confermerebbe la consapevolezza dell’elettorato francese che le scelte che hanno davanti sono penose. Non tutte le favole hanno un lieto fine.
Copyright Wall Street Journal per gentile concessione di MF/Milano Finanza


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