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Architetture elettorali
Karl Rove e gli strateghi del Gop lanciano la rimonta di Romney
New York. Il passaggio dalla fase delle primarie repubblicane a quella delle elezioni generali è scritto in un assegno da duecento milioni di dollari. Questa è la cifra messa sul piatto di Mitt Romney, frontrunner non certo brillante ma che nel tempo ha saputo far valere la sua inevitabilità, da American Crossroads, il più potente dei Super pac repubblicani.
New York. Il passaggio dalla fase delle primarie repubblicane a quella delle elezioni generali è scritto in un assegno da duecento milioni di dollari. Questa è la cifra messa sul piatto di Mitt Romney, frontrunner non certo brillante ma che nel tempo ha saputo far valere la sua inevitabilità, da American Crossroads, il più potente dei Super pac repubblicani. Dopo mesi passati a racimolare fondi, gli strateghi dell’associazione fondata dall’architetto di Bush, Karl Rove, e da Ed Gillespie, da poco nominato nella cerchia stretta degli adviser di Romney, sono pronti a lanciare una massiccia offensiva mediatica che apre di fatto la contesa elettorale fra l’ex governatore del Massachusetts e Obama in vista delle elezioni del 6 novembre. Una ricognizione della strategia repubblicana fatta dal New York Times svela che l’aggressione partirà già nel mese di aprile, creando un climax ascendente che raggiungerà il suo picco fra maggio e luglio. Gli uomini di American Crossroads sono convinti che sia quello il momento in cui gli elettori sono più ricettivi ai messaggi: dopo le vacanze estive e le convention di fine agosto, dicono, spot e comizi tendono a scomparire nel flusso convulso dei contenuti elettorali, che Obama ha la forza economica e comunicativa per dirottare a suo vantaggio. Meglio giocare d’anticipo, dunque.
I consiglieri di Obama acquartierati a Chicago hanno da tempo gli occhi puntati sui movimenti di American Crossroads, convinti che la sua discesa in campo sia una specie di chiamata alle armi da parte di Romney, e non è un caso che abbiano già lanciato una serie di spot televisivi in cui l’ex governatore viene citato esplicitamente e non soltanto evocato. Il presidente di American Crossroads è l’ex vicesegretario del Lavoro Steven Law, ma dietro al cartello strategico e alla sua illimitata capacità di raccogliere fondi si stagliano sagome repubblicane assai più ingombranti. Innanzitutto quella di Karl Rove, eminenza grigia di Bush e stratega di mille battaglie; il suo ruolo di semplice consigliere del Super pac gli permette di indossare contemporaneamente diverse giacchette: editorialista, opinion maker, agitatore culturale e supervisore della strategia elettorale. Poi c’è Gillespie, uno degli autori del “Contract With America” del 1994 passato al lobbismo professionale, nel ruolo dell’anello di congiunzione fra la cerchia politica di Romney e la base economica.Al centro del movimento di denari repubblicani e dei blitz mediatici che verranno c’è Carl Forti, detto “il Karl Rove di Karl Rove”, figura nota a Washington per la sua capacità di gestire operazioni elettorali senza dare nell’occhio. Forti nel 2008 è stato il principale consigliere politico di Romney e oggi è contemporaneamente il direttore politico di American Crossroads e il capo di Restore our Future, il Super pac deputato alla demolizione degli avversari di Romney alle primarie, con una particolare, livorosa attenzione per Rick Santorum. Esaurito il suo compito, la più vociante delle associazioni pro Romney passa il testimone a quella che guiderà la campagna elettorale verso la sfida di novembre. Ma i protagonisti delle piattaforme sono sempre gli stessi.
La sentenza della Corte suprema che ha liberalizzato i finanziamenti elettorali tramite i Super pac ha innescato un gioco di scatole cinesi dove gli statuti delle associazioni che incamerano soldi dai finanziatori e li tramutano in armi da campagna elettorale tendono a confondersi. Tutto si dà mischiato e sovrapposto, tanto che formalmente American Crossroads ha raccolto poco meno di trenta milioni di dollari, ma attraverso un complicato movimento di fondi è in grado di metterne duecento a disposizione di Romney (il tutto sempre coperto dalle formali dichiarazioni di indipendenza dal volere del candidato). Il sistema dei finanziamenti elettorali ha generato un paradosso: Obama, il protagonista di una campagna massiccia per dispiegamento di fondi nel 2008, ha raggranellato meno di Romney nello scontro diretto fra Super pac, mentre per quanto riguarda le donazioni dirette, sottoposte a un tetto di spesa, il presidente ha in tasca ottanta milioni di dollari più dell’avversario. Romney punta tutto sulla zona grigia del finanziamento elettorale, quello strano spazio di intersezione in cui la commissione elettorale permette di fatto di muovere fondi coperti dall’anonimato e forzare il principo della trasparenza dei finanziamenti alla politica affermata nella legge McCain-Feingold, poi revocata dalla Corte suprema. Molti finanziatori di Romney sono anonimi, oppure i loro nomi compaiono nei file della Federal election commission accanto a cifre soltanto parziali. La logica dei vasi comunicanti affermata nella gestione della galassia strategica di Romney si ripete anche nelle liste dei finanziatori, dove nomi come quello del magnate Harold Simmons compaiono sotto diverse etichette: ora tutte le forze si stanno radunando dietro alla testa di ponte di American Crossroads e ai suoi eterni leader.


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