
Le parole per uccidere
Il presidente della Repubblica è un militante e dirigente comunista da quasi novant’anni in servizio. La battaglia sul mercato del lavoro se la sono intestata storicamente persone ammazzate come Biagi (cattolico democratico, prodiano) e D’Antona (comunista), e persone sotto scorta permanente come Pietro Ichino o Maurizio Sacconi, oltre che molti giuslavoristi ed economisti di sicura stima pubblica.
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Il presidente della Repubblica è un militante e dirigente comunista da quasi novant’anni in servizio. La battaglia sul mercato del lavoro se la sono intestata storicamente persone ammazzate come Biagi (cattolico democratico, prodiano) e D’Antona (comunista), e persone sotto scorta permanente come Pietro Ichino o Maurizio Sacconi, oltre che molti giuslavoristi ed economisti di sicura stima pubblica. La norma annunciata da Monti e Fornero, attesa dalla Banca centrale europea e da quella piccola parte del padronato che non ha una paura canaglia della propria funzione sociale, e già approvata dieci anni fa da mezzo fronte sindacale, è la revisione, protetta e garantita in mille modi possibili, di una conquista sociale del secolo scorso, ottenuta in un altro mondo economico. Come avvenne per la revisione della scala mobile dei salari, passata via referendum per il coraggio di Bettino Craxi e santificata dall’assassinio di Ezio Tarantelli. Non è e non può essere spacciata come una misura di oppressione, come una vendetta sociale, come un “patto scellerato”, per usare l’infelice ma rivelativa espressione affibbiata al “libro bianco” di Biagi da Sergio Cofferati, predecessore di Susanna Camusso alla guida della Cgil.
Pier Luigi Bersani dovrebbe stare attento alle cose che dice e che lascia filtrare (per le cose che fa non pare ci sia speranza, sembra inadatto, unfit to lead Italy). Se affermi che il diritto a un posto di lavoro non si può scambiare con 25 mesi di salario e con un sistema universalistico di assicurazione per l’impiego, usando la paroletta ideologica “monetizzazione”, ti metti in una posizione in cui demagogia e astratto moralismo si danno la mano per il peggio. Ti associ a quei rancorosi e faziosi giornalisti che perseguono popolarità facile parlando della riforma come di uno “scalpo”, cioè di una vendetta simbolica indiana. Nessuno vuole cambiare certezze sociali per trenta denari, c’è un governo che procede a una riforma del meccanismo obsoleto del reingro per legge nel posto di lavoro, e questo in un paese in cui la disoccupazione giovanile è altissima, il numero degli occupati bassissimo, e i contratti atipici sono diventati pletorici e proibitivi per la vita quotidiana dei lavoratori non garantiti. Molta gente è felice di questa soluzione, che il governo cerca socialmente di ammortizzare, e molta gente di sinistra l’ha favorita, se non proposta. Accodarsi agli strilli di lesa maestà sindacale, con toni e parole che accompagnano varie bestialità e altre patologie come la maglietta più lugubre e infame nell’intera storia delle T-shirt, è da pazzi. Pazzi pericolosi.
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