Prezzi sull'orlo della crisi

L'Obama di campagna e di governo teme (molto) il rincaro della benzina

Il protocollo elettorale impone a Mitt Romney di imputare a Barack Obama la colpa di qualsiasi cosa affligga l’America, ma quando domenica davanti alle telecamere di Fox News ha detto che l’innalzamento del prezzo della benzina è il risultato diretto e consapevole della politica del presidente ha toccato un tasto estremamente delicato.

    Il protocollo elettorale impone a Mitt Romney di imputare a Barack Obama la colpa di qualsiasi cosa affligga l’America, ma quando domenica davanti alle telecamere di Fox News ha detto che l’innalzamento del prezzo della benzina è il risultato diretto e consapevole della politica del presidente ha toccato un tasto estremamente delicato. “Durante la campagna elettorale ha detto che avrebbe voluto vedere il prezzo della benzina crescere, e ha scelto tre persone per realizzare questo programma: il segretario dell’Energia, quello dell’Interno e l’amministratore dell’Agenzia per la protezione ambientale”, ha detto il candidato repubblicano alla Casa Bianca che si prepara al voto di oggi alle primarie proprio nello stato di Obama, l’Illinois. Il presidente ha immediatamente risposto all’attacco nel suo messaggio settimanale: “Quelli che promettono di abbassare il prezzo della benzina rapidamente non stanno proponendo soluzioni, vogliono soltanto il vostro voto”. La soluzione che Obama propone è quella di eliminare i 4 miliardi di dollari che lo stato concede ai petrolieri fra sussidi e agevolazioni fiscali, e per questo ha chiesto al Congresso di approvare un apposito disegno di legge “nel giro di qualche settimana”.
    Attacco e difesa mostrano che attorno alle pompe di benzina si sta combattendo una battaglia politica fondamentale. Secondo le stime dell’American Automobile Association il prezzo medio della benzina è 3,84 dollari al gallone, pericolosamente vicino alla soglia psicologica dei quattro dollari – le serie storiche dicono che una volta superata quella i consumi calano drasticamente – e di cinquanta centesimi più caro rispetto ai rilievi di un mese fa. E non ci sono indizi che il trend di rincaro stia rallentando. Il segretario per l’Energia, Steven Chu, ha spiegato a una commissione del Congresso che l’Amministrazione non ha nessun interesse a mantenere un prezzo della benzina a questi livelli: “Pensate che un presidente in cerca di rielezione voglia che i prezzi della benzina crescano?”, ha detto con il tono di chi presenta all’uditorio un’ovvietà. Ma tanto ovvia l’affermazione non è se lo stesso Chu nel 2008 ha spiegato al Wall Street Journal che “dovremo trovare il modo di portare i prezzi della benzina vicino a quelli europei”, e di fronte a domanda specifica ha detto di non essere d’accordo con le sue opinioni di quattro anni fa. Per i repubblicani c’è materiale sufficiente per le dimissioni – o per un allontanamento coatto – ma il presidente ha l’inderogabile necessità di frenare i prezzi (e mettere la sua immagine al riparo) senza terremoti politici e soprattutto senza ricorrere al verbo “drill”, trivellare, perché, dice il presidente, “stiamo già trivellando più di prima”, ma soprattutto perché mettersi su quella strada vorrebbe dire alienarsi una lobby ambientalista già abbastanza inalberata. Ma questo il presidente evita di dirlo.

    Per capire quanto Obama sia preoccupato del dossier dei carburanti e del petrolio basta dare un’occhiata alla sua agenda: questa settimana sarà in Nevada, New Mexico, Oklahoma e Ohio a portare fra la gente il suo piano “all of the above” sull’energia e spiegare due concetti fondamentali. Il primo è che l’America non ha mai prodotto tanta energia come negli ultimi quattro anni e ha ridotto la dipendenza dal petrolio straniero. Il secondo è che occorre investire nelle energie rinnovabili. Un vasto programma bocciato dagli analisti d’orientamento mercatista, ad esempio Nicolas Loris dell’Heritage Foundation: “La regolamentazione dello stato impedisce al mercato di rispondere alle fluttuazioni del prezzo del petrolio. Inoltre, gli sforzi per ridurre la nostra dipendenza dall’estero finanziando energie alternative spreca soldi dei contribuenti e non fa nulla per ridurre la dipendenza dal petrolio”.

    Accanto al senso elettorale del rincaro c’è quello geopolitico. La dipendenza energetica dai paesi arabi è un punto critico della politica estera di Washington, e le turbolenze dell’area non vanno nella direzione del rilassamento, né per quanto riguarda il prezzo del greggio né dal punto di vista delle relazioni commerciali. Il petrolio americano è attorno ai 107 dollari al barile, quotazione positiva rispetto ai 109 raggiunti a febbraio, ma diversi analisti energetici di Wall Street parlano di un trend di crescita che potrebbe portare il prezzo attorno ai 125 dollari. Abbastanza per complicare ulteriormente la vita a Obama.