Splendide Mad Women ci ricordano chi cercheremo nel nuovo Mad Man

Mariarosa Mancuso

Interrogata sulla serie “Mad Men”, Jane Maas ha un solo appunto da fare. “I cappelli. Le segretarie in ufficio non lo portavano, le copywriter sì. Era il segno della promozione. Peggy Olson non dovrebbe toglierselo, quando siede alla scrivania. Una mia collega lo teneva in testa anche quando andava in bagno”.

    Interrogata sulla serie “Mad Men”, Jane Maas ha un solo appunto da fare. “I cappelli. Le segretarie in ufficio non lo portavano, le copywriter sì. Era il segno della promozione. Peggy Olson non dovrebbe toglierselo, quando siede alla scrivania. Una mia collega lo teneva in testa anche quando andava in bagno”. Negli anni Sessanta, dopo un’esperienza come autrice per il programma di quiz “Name That Tune”, Jane Maas fu assunta alla Ogilvy & Mather, una delle agenzie di Madison Avenue. Senza passare per la stanza delle dattilografe. Ogni tanto capitava, e del resto era stato Mr Ogilvy a lanciare la nuova parola d’ordine per i suoi creativi: “Il consumatore non è un cretino, è vostra moglie”.

    Ora racconta tutto in un’autobiografia, allungando la lista dei libri che cavalcano la serie di Matthew Weiner (riprende il 25 marzo sulla ABC con la quinta stagione, dopo varie traversie produttive) per vendere molte copie. E’ accaduto, per esempio, a “Il meglio della vita” di Rona Jaffe. Don Draper lo leggeva prima di addormentarsi – documentazione, fa parte della letteratura per signore come “Il gruppo” di Mary McCarthy. E’ bastato per tirarlo fuori dall’archivio e ristamparlo con una nuova fascetta.
    Si intitola “Mad Women: The Other Side of Life on Madison Avenue in The 60s and Beyond” (Thomas Dunne Books).

    Conferma ogni cosa. Dal sesso in ufficio ai lunch innaffiati con tre cocktail Martini, solitamente per soli maschi: le donne erano attente alla linea. I party aziendali per soli dipendenti erano un trionfo di alcol e promiscuità. Nella serie tv, la Sterling Cooper dove lavora Don Draper prende a modello la Young & Rubicam.
    Le femmine che frequentavano uffici e corridoi negli anni Sessanta ricordano: “Il sesso era nell’aria che respiravi”. La Ogilvy non era da meno: la tradizionale gita in barca attorno all’isola di Manhattan fu sospesa dopo che un dirigente ubriaco cadde fuori bordo. Per evitare disdicevoli comportamenti, qualcuno pensò di togliere i divani dagli uffici, e di eliminare le porte. Se dobbiamo dare retta a Mrs Maas, oltre al matrimonio di Don Draper con la segretaria nella prossima stagione vedremo parecchi spinelli.

    Altra tentazione, gli spot pubblicitari con modelle da girare fuori città, meglio se su un’isola tropicale. In “Everyman” di Philip Roth il pubblicitario protagonista trova così una delle sue mogli. Jane Maas ricorda di aver fatto da consulente allo scrittore: erano compagni di università e continuarono a vedersi per una quindicina d’anni. Ogni tanto arrivava la domanda: “Ma in un’agenzia, capita questo e quest’altro?” (poi Roth incrociava le informazioni con quelle ottenute dal fratello pubblicitario). Dei suoi set, ne ricorda uno soltanto, con il giovane F. Murray Abraham prima che girasse “Amadeus”. L’attore scriveva un numero di telefono su una superficie impolverata. Passava la cameriera con il magico detersivo, e il numero spariva.

    “La mamma sta tutto il giorno in ufficio con un uomo, e insieme guardano il soffitto”. Così scrisse la figlia di Jane Maas, prendendosi qualche libertà con un tema scolastico: le avevano chiesto di descrivere il lavoro di papà. Negli anni Sessanta, il concetto di “madre lavoratrice” non esisteva. A un uomo che si sposava veniva aumentato lo stipendio, “ora ha una famiglia da mantenere”. Una donna che si sposava, se non rinunciava volontariamente all’impiego, era guardata malissimo: “Ma non ha un marito che la mantiene?”. Questa era la teoria. Smentita dalla pratica: Jane Maas lavorò con successo alla Ogilvy & Mathers per 12 anni, anche se un marito lo aveva. Di quelli – tiene a sottolineare – che ti portano il caffè a letto tutte le mattine.