Ricomincia la Formula 1. Che cosa ha in mente Bernie Ecclestone?

Francesco Vergani

Nemmeno è cominciato il campionato del mondo di Formula 1 2012 (comincia questo fine settimana, a Melbourne) e Bernie Ecclestone salta già alla conclusione, guarda avanti da dietro la sua frangetta argentata di splendido ottantunenne. Ottantunenne. Il magnate inglese detiene di fatto i diritti commerciali per lo sfruttamento del prodotto, fino al 2110. 2110. La sua prospettiva manageriale è dunque di lungo periodo.

    Nemmeno è cominciato il campionato del mondo di Formula 1 2012 (comincia questo fine settimana, a Melbourne) e Bernie Ecclestone salta già alla conclusione, guarda avanti da dietro la sua frangetta argentata di splendido ottantunenne. Ottantunenne. Il magnate inglese detiene di fatto i diritti commerciali per lo sfruttamento del prodotto, fino al 2110. 2110. La sua prospettiva manageriale è dunque di lungo periodo. Eufemismo. E gli sta stretto il mondo, figurarsi il Vecchio continente. Il futuro della F1 è lontano dall’Europa, sostiene da tempo Ecclestone o come lo chiamano tutti: Bernie. A proposito, c’è sempre un motivo per chiamarlo in causa, Bernie di qui Bernie di là, evocano il suo palleggiare un mappamondo gonfiabile da sdraiato sulla scrivania dell’ufficio; come fosse un grande dittatore. Fantasie alla Max Mosley a parte, in realtà lui è più espansionista che accentratore, è anzitutto il direttore di un circus che vuole piantare il tendone ovunque l’insediamento temporaneo frutti sempre più denaro (non solo al direttore).

    Lontano dall’Europa, la F1 batte e ribatte le piste del medio e dell’estremo oriente. Da quest’anno, poi, riscopre l’America. A novembre si disputa quel Gran premio degli Stati Uniti d’America che non si disputava dal 2007. Il nuovo Circuit of the Americas alla periferia di Austin, Texas, ospita il suo primo grande evento. Bernie cavalca questa e altre frontiere con sprezzo del pericolo e del ridicolo. Potendo, farebbe sfrecciare i bolidi per Manhattan. Si accontenterà di allestire un circuito cittadino da qualche parte, dall’altra parte dell’Hudson. Da bravo imbonitore, già trattava con il Campidoglio nel mentre rassicurava la Padania; annunciando al mondo che i bolidi sarebbero sfrecciati in Vaticano (vabbé, all’Eur). E pazienza se Roma non ha sorpassato Monza, né si è messa in scia. La formula di successo della F1 continua, nell’ordine: a esporre al mondo e al meglio marchi e prodotti, a ripagare profumatamente sponsor e fornitori, a intrattenere il pubblico.

    Ecco, per l’intrattenimento del pubblico, si può fare di più. Fosse per Bernie Ecclestone, si potrebbe far piovere, frenare lo sviluppo dell’aerodinamica che frena i sorpassi, si potrebbero allargare le piste, posizionare dei dossi rallentatori sulla via d’accesso ai box. Si può fare di tutto, per fare sbadigliare meno il telespettatore medio. A patto che il farlo convenga, economicamente. Il denaro, quello sì che non dorme mai, è la formula sposata dagli anni Ottanta, da un businessman fuori dal tempo (settantottenne, è tornato scapolo).