
Tutti per l'Italia
Pare dunque che Berlusconi stia accarezzando con cautela un progetto: sciogliere il Pdl (Popolo delle libertà) e chiedere all’Italia moderata, riformista e liberale sotto tutte le latitudini di unirsi in un cartello elettorale tra soggetti diversi e distinti per il quale c’è già una proposta di nome: “Tutti per l’Italia”. Il programma è il meglio che unisce, in una sottile linea di continuità e differenze, i tre cicli politici degli ultimi vent’anni, a partire dalla caduta rovinosa della Repubblica dei partiti.
Guarda la puntata di Qui Radio Londra L'Italia sta cambiando, cosa succederà dopo il 2013?
Pare dunque che Berlusconi stia accarezzando con cautela un progetto: sciogliere il Pdl (Popolo delle libertà) e chiedere all’Italia moderata, riformista e liberale sotto tutte le latitudini di unirsi in un cartello elettorale tra soggetti diversi e distinti per il quale c’è già una proposta di nome: “Tutti per l’Italia”. Il programma è il meglio che unisce, in una sottile linea di continuità e differenze, i tre cicli politici degli ultimi vent’anni, a partire dalla caduta rovinosa della Repubblica dei partiti: lo sviluppo e la riduzione delle pretese di tutela dello stato fiscale, le liberalizzazioni come chiave per una nuova cultura di impresa e lavoro, la modernizzazione costituzionale con al centro la questione della decisione politica efficace e di una democrazia seria dell’alternanza, che può anche prevedere come punto di passaggio un’esperienza di unità nazionale (il precedente della Germania docet).
Noi pensiamo che la cosa non sia futile, che non sia una replica della svolta del predellino, quando fu lanciato il progetto del partito unico del centrodestra, e che sia l’unico vero modo per seppellire definitivamente la strisciante guerra civile, sociale politica e culturale di cui l’Italia è rimasta vittima, con una finale sconfitta rigeneratrice di tutti i soggetti in campo, che nel tempo hanno dimostrato di non riuscire a governare e di non riuscire a produrre un’alternativa di governo convincente. I cento giorni felici del governo Monti, malgrado tutte le critiche possibili e l’obiezione di principio a un collegio tecnocratico senza legittimazione diretta nelle urne, dimostrano paradossalmente che alla fine, tolti dal campo i due elementi divisivi più devastanti (il berlusconismo e l’antiberlusconismo), è rimasta viva l’aspirazione a una democrazia che decide, a rifome modernizzanti, a un programma minimo di metamorfosi dello stesso status della nazione in cui si sono via via riconoscuti, senza reciproco riconoscimento di valori, i riformismi dell’ala moderata (destra e centro) e quelli dell’ala liberal o progressista (compreso ovviamente il Partito democratico). Il senatore Monti può operare con qualche successo evidente, e addirittura alludere ironicamente alla possibilità che il suo ciclo raddoppi, perché non ha eccitato rancori contro il predecessore, ha scelto un decoroso profilo istituzionale legato all’emergenza, esprime una capacità di confronto e conflitto regolato, anche con le parti sociali e con i poteri finanziari (di ieri la rivolta delle banche), che non sa di concertazione o di consociativismo. E questo grazie alla resa bilaterale dei grandi partiti e alla loro convivenza, incredibile fino a poco tempo fa, in una maggioranza virtuale che consente l’attuazione del programma del governo del “preside” e del presidente.
C’è alla fine un solo modo di collegare la rivoluzione di sistema del 1994, le migliori intuizioni liberalizzanti e riformiste della stagione controversa dell’Ulivo, le culture del centro cattolico e popolare, l’irruzione della politica come tecnica e competenza della nuova contingenza: questo modo consiste nel convergere sulle idee, sul programma di riforma, e attuarlo superando la storia anche molto onorevole di partiti e movimenti che hanno fatto e disfatto il vecchio bipolarismo della paralisi reciproca. Questo, pensa Berlusconi, è il senso più profondo del suo gesto dimissionario in favore di una soluzione di emergenza e di unità, che non era di abbandono ma di costruzione di un futuro che abbia un significato liberatorio e di responsabilità per una o più generazioni di italiani. E non si può partorire un futuro promettente se non ci si liberi, escludendo ogni damnatio memoriae, dei fantasmi del passato.
Guarda la puntata di Qui Radio Londra L'Italia sta cambiando, cosa succederà dopo il 2013?


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
