
Tra Tav e liberalizzazioni
I “no” che impoveriscono l'Italia
Laissez-faire, laissez-passer, è la regola aurea delle liberalizzazioni. L’Italia di questa regola ha fame per crescere, o meglio dovrebbe avere fame. Perché la stessa regola sta facendo un’enorme fatica ad avanzare, tanto nelle aule del Parlamento, con riguardo al decreto del governo che deve superare gli ostacoli frapposti da una miriade di emendamenti, quanto in Val di Susa, con i blocchi stradali come ricatto contro i lavori per l’alta velocità che dovrebbe consentire il passaggio snello di merci e di persone fra Italia e Francia.
Guarda le foto dello sgombero del presidio No Tav - Leggi l'editoriale La Tav non c’entra, quella è eversione
Laissez-faire, laissez-passer, è la regola aurea delle liberalizzazioni. L’Italia di questa regola ha fame per crescere, o meglio dovrebbe avere fame. Perché la stessa regola sta facendo un’enorme fatica ad avanzare, tanto nelle aule del Parlamento, con riguardo al decreto del governo che deve superare gli ostacoli frapposti da una miriade di emendamenti, quanto in Val di Susa, con i blocchi stradali come ricatto contro i lavori per l’alta velocità che dovrebbe consentire il passaggio snello di merci e di persone fra Italia e Francia.
Il decreto sulle liberalizzazioni, che pure non è certamente rivoluzionario, è stato continuamente modificato da interessi costituiti anche per argomenti di modesta portata ma di notevole valore simbolico, come la competenza sulle licenze dei taxi.
Questa doveva in origine spettare alla nuova Autorità indipendente nazionale dei trasporti, ma torna ai comuni, soggetti solo a un parere preventivo (e nemmeno vincolante) di tale authority. I servizi pubblici locali continuano a essere un feudo municipale, con l’aggiunta di regolamentazioni regionali. La rete ferroviaria seguiterà a essere di fatto controllata da Ferrovie dello stato. Comunque il decreto, nella sostanza rimasto complessivamente positivo, avrà ora il via libera dell’Aula del Senato, quasi sicuramente grazie a un voto di fiducia.
Per la Torino-Lione invece sono continuate ieri le occupazioni di autostrade, stazioni e in generale le turbative dell’ordine pubblico.
Mentre il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha assicurato che i lavori nei cantieri dell’alta velocità inizieranno comunque la propria fase operativa, il prefetto di Torino ha ricevuto per l’ennesima volta i sindaci della Valle di Susa che protestano; 17 su 21 di loro dal 2010 non condividono il progetto della Tav, e sono rimasti fuori dall’Osservatorio. Perché mai il corridoio ferroviario europeo che dalla Francia deve arrivare all’Ucraina debba avere il consenso sul suo tracciato da parte dei sindaci di una singola vallata è difficile da spiegare. In Italia evidentemente l’interesse collettivo nazionale a muoversi, a muovere e in generale a cambiare, non sembra essere un valore predominante su quello comunitario di una collettività locale che vuole la conservazione quasi medievale dello status quo e di tante associazioni di categoria e sindacati con i loro pur rispettabili interessi. Evidentemente il federalismo è stato concepito solo come devoluzione verso il basso, come radicamento sul territorio, mai come sinonimo di maggiore apertura. I valori della tutela sociale e della coesione di gruppo prevalgono quindi sui valori della mobilità e della concorrenza. Ma a una società così concepita non basteranno mille decreti per tornare a crescere.
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