
La Lady del ferro
"Iron Lady", alla lettera, è lei e non l’ex primo ministro inglese Margaret Thatcher: l’australiana Gina Rinehart, infatti, è soprattutto al ferro che deve la sua irresistibile ascesa economica (ma anche non pochi guai famigliari e una discussa notorietà in patria). Grazie alle miniere di cui è proprietaria e da cui estrae il minerale più richiesto sul pianeta, oggi è la persona più ricca dell’Australia, con un patrimonio personale di circa 20 miliardi di dollari.
"Iron Lady", alla lettera, è lei e non l’ex primo ministro inglese Margaret Thatcher: l’australiana Gina Rinehart, infatti, è soprattutto al ferro che deve la sua irresistibile ascesa economica (ma anche non pochi guai famigliari e una discussa notorietà in patria). Grazie alle miniere di cui è proprietaria e da cui estrae il minerale più richiesto sul pianeta, oggi è la persona più ricca dell’Australia, con un patrimonio personale di circa 20 miliardi di dollari. E soprattutto, annunciano i compulsatori della celebre classifica dei miliardari stilata da Forbes, Rinehart scavalcherà a breve i due magnati più facoltosi del globo, lo statunitense Bill Gates (59 miliardi) e il messicano Carlos Slim (63,3 miliardi), senza inventare una nuova rivoluzione informatica o diventare il monopolista telefonico in un paese di più di 100 milioni di abitanti, ma semplicemente osservando l’ineluttabile ascesa delle quotazioni del suo metallo prediletto sui mercati internazionali.
David Leser, scrittore cresciuto a Sydney che alla corpulenta imprenditrice australiana ha appena dedicato un ritratto su Newsweek, sostiene che lei “i minerali ce li ha nel sangue”. Al punto che una volta, a chi le chiedeva cosa secondo lei rappresentasse al meglio il concetto di bellezza, Rinehart rispose così: “Una miniera di ferro”. Minerali nel sangue e, soprattutto, trasmessi in buona parte per legami di sangue. Infatti fu il padre di Gina, Lang Hancock, figlio di proprietari terrieri dell’Australia occidentale, a imbattersi nella fortuna di famiglia, con una di quelle storie che possono capitare soltanto in un continente che è vasto quanto l’Europa ma abitato ancora oggi da 22 milioni di persone, ovvero lo stesso numero di abitanti di Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia messi assieme. Nel novembre del 1952, mentre si dirigeva con la moglie verso Perth, l’unica città di relativa grandezza presente sulla costa ovest del paese, Hancock fu costretto dal maltempo a un atterraggio di emergenza con il suo piccolo aereo. Bloccato in una gola tracciata da un fiume, notò subito il colore delle pareti rocciose: rosso ruggine, proprio come se si fossero ossidate. Ed effettivamente sotto quelle rocce c’era del ferro, più precisamente il maggiore giacimento di ferro del pianeta. Hancock si accordò con la società Rio Tinto, ancora oggi uno dei principali colossi minerari, offrì loro la possibilità di scavare in cambio di laute royalty, e presto divenne noto come “il re di Pilbara”, dal nome della regione del fortunato atterraggio. Era il 1952, ovvero due anni prima che nascesse la figlia Gina. Quando Hancock morì, nel 1992, le lasciò in eredità la società Hancock Prospecting Limited (che oggi fa profitti per circa 870 milioni di dollari australiani l’anno), e soprattutto molte beghe famigliari.
Il quotidiano britannico Daily Mail, lo scorso 4 febbraio, è tornato a raccontare alcuni dei litigi di casa Rinehart. Ricordando innanzitutto che proprio Gina nel settembre 2011 è stata portata in tribunale da tre dei suoi quattro figli: John, Bianca e Hope (mentre la quarta – Ginia – è rimasta al fianco della madre e lavora con lei). I motivi della querelle giudiziaria, ovviamente, sono venali: i tre figli contestano il fatto che la genitrice sia rimasta l’unica responsabile di un trust multi milionario lasciato in eredità dal loro nonno. D’altronde, dalle e-mail trapelate in questi giorni dalle aule di tribunale e riportate dal Daily Mail, emerge che alcune delle richieste dei pargoli della “principessa di Pilbara” sono state quantomeno stravaganti. “In una e-mail – racconta il quotidiano – la figlia Hope Rinehart Welker scrive alla madre chiedendo come regalo di compleanno 225 mila dollari, da spendere per uno chef che prepari ‘menu dettagliati e cibo per gli eventi mondani della famiglia’”. Sempre dalla stessa figlia, che vive a New York, è arrivata poi una richiesta simile per una tata e una guardia del corpo, “così i ragazzi saranno sicuri, anche se la sera volessi uscire”. Gina Rinehart non solo si sarebbe rifiutata, ma avrebbe consigliato alla ventiseienne Hope di tornare a vivere in Australia, o quantomeno a Singapore, più vicina a casa insomma. Risposta: “Non voglio essere costretta a trasferirmi in uno dei paesi che ritieni ‘desiderabili’ solo per salvare qualche centesimo. Non è giusto, ti stai comportando da egoista e fai pressioni perché vada a Singapore o in Australia soltanto perché odi gli Stati Uniti”. Né sembrano mancare attriti con l’altra figlia, la 31enne Bianca Rinehart, che vive a Vancouver. Lei scrive alla madre chiedendo denaro per poter avere una guardia del corpo: “Siamo, sotto tutti i punti di vista, la famiglia esposta a maggiori rischi in tutta l’Australia. Vorrei avere del personale di sicurezza proprio come tu hai Kevin. Sfortunatamente, non ho le risorse finanziarie per affrontare la spesa e ti chiedo di prendere in considerazione di sponsorizzare questa mia decisione o comunque rendermi disponibili dei fondi”. Seguono lamentele sulla presunta “peer pressure”, ovvero le aspettative e le attese dei propri giovani amici: “Non penso che tu capisca cosa vuol dire quando tutto il mondo pensa che sarai più ricco di Bill Gates! – ha scritto Bianca – Perfino i miei amici che rispetto a noi sono senza un soldo hanno più personale a disposizione!”. Delle risposte della madre, presumibilmente tutte negative, finora non è dato sapere: Mrs. Rinehart ha soltanto fatto intendere di essere “mortificata” dal fatto che questi messaggi siano stati resi pubblici.
Al di là delle provocazioni filiali, la Lady del ferro non ha comunque un carattere facile. Pare che il padre, Lang Hancock, che pure le voleva bene, in punto di morte le abbia spedito una lettera, dicendo che l’avrebbe voluta ricordare come “la graziosa, capace e attraente giovane ragazza” che era stata, e non come “l’indolente, vendicativo e ambiguo elefantino” che era diventata. Era l’inizio degli anni 90 e Gina, non ancora quarantenne, aveva già dimostrato di non sopportare la giovanissima terza moglie del padre, Rose Porteous, che era arrivata in Australia dalle Filippine come badante di famiglia e poi aveva preso il posto della madre di Gina accanto a Hancock. Fu Rose Porteous a “svecchiare” di molto il guardaroba dell’anziano marito, poi a convincerlo – proprio lui che ripeteva: “Io dormirei anche in una casa prefabbricata” – a costruire una mastodontica villa, la “Prix D’Amour”, progettata a immagine e somiglianza di quella del film “Via col vento”. Per non dire delle voci su una presunta facilità di costumi della stessa Porteous, alle quali la diretta interessata rispose così: “Sono stata accusata di aver dormito con tutti gli uomini d’Australia… In quel caso sarei stata una donna molto occupata”. Vezzi insopportabili per la pragmatica Gina, che dopo la morte del padre fece immediatamente causa alla matrigna filippina, fino a quando – nel 2003 – è stato dimostrato in tribunale che Hancock era morto per cause naturali e non per la noncuranza della terza e ultima moglie.
A forza di appassionarsi alle lotte intestine alla famiglia Rinehart, qualcuno potrebbe pensare che Gina – che per movimentare il tutto si è già sposata due volte – sia soltanto una novella Paris Hilton un po’ sgraziata, insomma un’ereditiera con molto tempo libero a disposizione. Invece Mrs. Rinehart non ha mai pensato di vivere di (sola) rendita. Basti dire che dal 2011 al 2012 ha raddoppiato il suo patrimonio personale, fino a 20 miliardi di dollari, diventando così la persona più ricca d’Australia e la donna più facoltosa di tutta l’area dell’Asia-Pacifico. L’improvviso balzo in avanti nella graduatoria è dovuto a un affare appena concluso con il produttore di acciaio sudcoreano Posco che ha deciso di rimpinguare il suo pacchetto di azioni nella miniera di Roy Hill nello stato di Western Australia, una nuova proprietà di Mrs. Rinehart. Gli acquisti di giacimenti, infatti, non si sono fermati dopo la scomparsa del padre: Gina ha detto a più riprese che intende far fruttare al meglio la domanda di carbone e ferro che arriva dall’Asia e che sta facendo andare alle stelle le quotazioni. Anche quando fa affari, però, la Lady del ferro non guarda in faccia a nessuno. Governo incluso. Se fino all’anno scorso aveva schivato in ogni modo la ribalta mediatica, ora infatti è scesa in guerra (politica) con l’esecutivo laburista, colpevole secondo lei di ostacolare lo sviluppo del paese (oltre che ovviamente dei suoi affari).
La misura più invisa, ovviamente, è la cosiddetta Minerals Resource Rent Tax, un’imposta approvata alla fine del 2011 dalla Camera bassa e che presto sarà esaminata in Senato, la quale graverà in maniera significativa sui profitti delle aziende che operano nell’estrazione di carbone e ferro. E’ soprattutto un modo per disincentivare il depauperamento delle risorse ambientali australiane e tutelare l’ecosistema, dicono i sostenitori della misura, tra i quali figurano i Verdi, praticamente l’unico partito australiano a non essere stritolato dal classico bipartitismo anglosassone che vede contrapporsi Laburisti e Liberali. E’ un fardello che graverà sulle spalle di un settore che quasi da solo ha evitato all’Australia di entrare in recessione dal 2008 a oggi, spiegano invece gli avversari dell’imposta. “L’industria delle materie prime ha dimostrato di essere un perno fondamentale per attrarre investimenti e affari in Australia – ha detto di recente Rinehart a un convegno del settore – La crescita economica della Cina e dell’India è stata la maggiore spinta per l’Australia sin da quando i giacimenti di ferro sono stati scoperti nella parte nord-occidentale del nostro paese da mio padre, Lang Hancock. Da allora, infatti, ciò ha portato a un rafforzamento dei legami commerciali con i vicini, al punto che nel 2010 più della metà degli scambi commerciali dell’Australia ha visto come partner paesi asiatici che si affacciano sull’oceano Pacifico”.
La convinzione di fondo, insomma, resta quella che già il padre di Ms. Rinehart, Lang Hancock, una volta espresse piuttosto chiaramente: “Anche se i governi non aiutano e non possono aiutare le imprese private, essi possono certamente essere di intralcio e perfino distruttivi”. Il problema è che questa stessa convinzione, oggi, sta portando Gina Rinehart a scontrarsi frontalmente con l’opinione pubblica liberal su temi considerati tabù. Primo tra essi, appunto, le tasse, specie quelle che hanno finalità pedagogiche ed ecologiste. Quando nel 2010 il premier laburista Kevin Rudd propose per la prima volta l’imposta sul comparto minerario, con il consenso di buona parte dell’elettorato australiano da sempre attento ai temi ambientali, Gina uscì per la prima volta allo scoperto: “Mr. Rudd, non puoi voler fare questo al tuo stesso paese. Non vorrai passare alla storia come il primo ministro che ha portato all’apertura di miniere in Africa e in altri paesi a detrimento degli interessi australiani”. Poco dopo Rudd si dimise, ma la Lady del ferro da allora ha continuato la sua battaglia contro il governo laburista guidato da Julia Gillard. Così, mentre lo storico leader dei Verdi australiani, Bob Brown, l’altro giorno postava su Twitter foto scattate da un piccolo aereo (didascalia: “Questa è una miniera di Gina: il carbone dalle sue miniere produrrà più emissioni di CO2 di quante ne vengono risparmiate grazie alla legislazione sull’energia pulita”), la stessa Gina andava in giro per il paese per sostenere una sorta di versione locale dei Tea Party americani.
Non del tutto soddisfatta della maratona anti tasse, questa settimana Rinehart ha fatto incidere su una placca di acciaio piantata in uno dei suoi terreni un inno al settore minerario. Titolo: “Our future”, “Il nostro futuro”. Si tratta di versi in rima, che tra l’altro recitano: “Il nostro futuro è minacciato da debiti massicci accumulati da politici passacarte / Che si tirano fuori dai guai alzando le tasse senza limiti / Con il risultato finale di spedire oltremare investimenti, crescita e posti di lavoro australiani” (Is our future threatened with massive debts run up by political hacks / Who dig themselves out by unleashing rampant tax / The end result is sending Australian investment, growth and jobs offshore). Apriti cielo, giornali britannici e australiani si sono precipitati a consultare esperti letterari che valutassero – anche da un punto di vista formale – la provocazione antifiscalista di Rinehart. Per il Telegraph, addirittura, siamo davanti alla “peggiore poesia della storia dell’universo”.
La signora, evidentemente, ha la capacità indiscutibile di saper suscitare polemiche attorno alla sua figura e al suo operato. E’ riuscita addirittura a scontentare i commentatori di tutto lo spettro politico proponendo la costituzione di “Zone economiche speciali” per le aree più arretrate e meno densamente popolate del paese (leggi: quelle dove si trovano le sue miniere): sarebbe utile – ha detto Gina – creare aree a burocrazia zero (dispiacendo a sinistra) e incentivare un massiccio afflusso di immigrati asiatici (dispiacendo a destra).
Come se non le bastasse la controversia su tasse e deregulation, Rinehart ha fondato anche un think tank critico della comune vulgata sul riscaldamento climatico, secondo la quale sarebbero le attività umane alla radice dell’innalzamento delle temperature globali e di tutti gli scompensi che ne conseguono. Rinehart ovviamente non ci crede, e per questo ha fondato Andev, ovvero Australians for Northern Development & Economic Vision, finanziando ricerche e viaggi a ricercatori molto scettici sulle teorie del Climate change. Nel giugno dello scorso anno ha invitato l’inglese Lord Christopher Monckton a parlare alla Notre Dame University in Western Australia durante una lezione intitolata al padre, Hancock. Seguirono mobilitazioni studentesche nel campus, con 50 professori australiani che chiesero all’ateneo di cancellare l’appuntamento, asserendo che il politico britannico sostenesse “quel tipo di ignoranza e superstizione che le università hanno il dovere di contrastare”. Ma Rinehart evidentemente non è tipo arrendevole: la settimana scorsa ha comunicato alla Australian Securities and Investments Commission, ovvero la Consob australiana, due nuove nomine in una società da lei controllata: nel board di Hope Downs Iron Ore Pty Ltd. entreranno infatti sia Ginia Rinehart, la figlia rimasta “fedele”, che il professore Ian Plimer, anche lui negazionista del riscaldamento climatico per cause antropiche.
E’ anche per conquistare a queste sue tesi diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico che, ultimamente, Rinehart pare disposta a far pesare ancora di più il suo potere economico. Nel 2010 ha rilevato il 10 per cento di Ten Network Holding Ltd., la terza rete televisiva commerciale d’Australia. Mentre tre settimane fa ha rafforzato la sua presenza nell’azionariato di Fairfax Media Ltd., arrivando a controllare il 12 per cento delle azioni del secondo maggiore gruppo editoriale del paese, quello che pubblica quotidiani come The Age, Sydney Morning Herald e l’Australian Financial Review. “Ci dovremo preoccupare se Rinehart diventerà addirittura azionista di riferimento di Fairfax Media? – si è chiesto nei giorni scorsi David McKnight, esperto di media e autore di una recente inchiesta sul potere politico di un altro tycoon australiano, Rupert Murdoch – Credo proprio di sì. Questo infatti vuol dire che tutti i giornali più importanti in Australia saranno controllati da due individui molto ricchi, Murdoch e Rinehart. In entrambi i casi essi portano con sé una ideologia politica complessiva che alla fine influenzerà inevitabilmente questi giornali e, attraverso loro, i lettori”. Sulla rivista conservatrice Quadrant la pensano diversamente. L’editorialista Christopher Carr, dopo aver citato le recenti mosse di importanti editori liberal (come Graeme Wood a sostegno del Global Mail), si chiede: “Cosa c’è di così strano nel caso di Gina Rinehart? Se avesse avuto opinioni di sinistra, magari molto alla moda come quelle di George Soros, sarebbe stata perfettamente accettabile. I suoi veri peccati sono quello di essere conservatrice e quello di sostenere tesi che potenzialmente raccoglieranno consensi tra i suoi futuri lettori”. Forse la Lady del ferro può iniziare a sognare da Lady di ferro.


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