Non sarà più “posto fisso o muerte”

Marco Valerio Lo Prete

Governo e parti sociali, in Italia, tornano a incontrarsi – oggi ufficialmente è la terza volta – per discutere la riforma del lavoro che il governo Monti intende approvare entro marzo.

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    Governo e parti sociali, in Italia, tornano a incontrarsi – oggi ufficialmente è la terza volta – per discutere la riforma del lavoro che il governo Monti intende approvare entro marzo. Fuori da Palazzo Chigi, però, pesa già la proclamazione, da parte della Fiom-Cgil, di uno sciopero generale per il 9 marzo: è un “no” ai contatti decentrati di Fiat e, precisano i metalmeccanici, un “no” (preventivo) a ogni modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Proprio la difesa della norma che di fatto vieta i licenziamenti individuali per ragioni economiche, fino a ieri, aveva ricompattato il fronte sindacale. Eppure ora, mentre da una parte la Fiom preme ufficialmente sul segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, perché assuma una linea più oltranzista, dall’altra la Cisl è più possibilista: “Per un accordo con il governo ci sono ampi margini – ha detto il segretario generale, Raffaele Bonanni – perché l’altra volta il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha segnato un avvicinamento molto forte alle posizioni delle parti sociali”.

    Chi invece ha sicuramente colto di sorpresa i sindacati cambiando le leggi che regolano assunzioni e licenziamenti è Mariano Rajoy, il premier conservatore spagnolo. Venerdì scorso l’esecutivo di Madrid ha varato una riforma del mercato del lavoro che consentirà alle imprese spagnole di abbassare i costi dei licenziamenti. L’obiettivo – in un paese in cui la disoccupazione ha raggiunto il 23 per cento e non accenna a diminuire – è quello di aumentare la mobilità all’interno del mercato del lavoro, contrastando allo stesso tempo una segmentazione eccessiva tra “iper garantiti” e “iper precari”, una condizione che tra l’altro accomuna il paese iberico al nostro. La stampa internazionale, commentando il decreto spagnolo, si è concentrata soprattutto sul taglio delle indennità di licenziamento: queste verranno ridotte da 45 a 33 giorni ogni anno d’impiego, fino a un massimo di 24 mesi (e non di 42 com’era stato finora). Non solo: il risarcimento da corrispondere al lavoratore in uscita sarà ancora più contenuto nel caso di imprese che potranno certificare perdite molto sostanziose negli ultimi nove mesi. Ma ciò che davvero preoccupa i sindacati spagnoli è la rottura di un altro tabù, quello che consiste nell’intangibilità del posto di dipendente pubblico.

    Nel decreto del governo, infatti, c’è scritto che “quando gli enti, le organizzazioni o le entità che formano il settore pubblico” raggiungono nove mesi di bilancio in deficit, possono licenziare per ragioni economiche dopo aver corrisposto un adeguato indennizzo. Il meccanismo si chiama Expediente de Regulación de Empleo (Ere) e non richiede passaggi particolari davanti alle autorità giudiziarie competenti. Sui 3,13 milioni di dipendenti pubblici spagnoli, a essere interessati dal provvedimento saranno in 685 mila, gli appartenenti al cosiddetto “personal laboral”, ovvero tutti quei contratti a tempo indeterminato o determinato che sono regolati dal normale diritto del lavoro e non comportano lo status di “funzionario”. Comunque una rivoluzione, di cui in Italia per ora non si è ancora discusso, tantomeno tra governo e sindacati.

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