
Tagliare subito la spesa pubblica
Se l’Italia continua sulla rotta attuale, contrassegnata dalle riforme annunciate e dal sostanziale mantenimento della pace sociale, non c’è pericolo di essere trascinati nel baratro dalla Grecia. Ma, a prescindere da quanto accade ad Atene, la navigazione procederà tranquillamente solo se la crescita nel breve termine non crollerà e se il governo guidato da Mario Monti affronterà un tema a oggi del tutto eluso: la riduzione del peso dello stato nell’economia.
Se l’Italia continua sulla rotta attuale, contrassegnata dalle riforme annunciate e dal sostanziale mantenimento della pace sociale, non c’è pericolo di essere trascinati nel baratro dalla Grecia. Ma, a prescindere da quanto accade ad Atene, la navigazione procederà tranquillamente solo se la crescita nel breve termine non crollerà e se il governo guidato da Mario Monti affronterà un tema a oggi del tutto eluso: la riduzione del peso dello stato nell’economia. Francesco Giavazzi, economista ed editorialista del Corriere della Sera, commenta così la possibile onda d’urto del caos greco. “A dire il vero il confronto con Atene rischia di essere perfino fuorviante, visto che i greci non hanno fatto nulla di quanto avevano annunciato – dice Giavazzi al Foglio – e questo nonostante le lodi che fino alla scorsa estate ne aveva tessuto lo stesso Monti nelle vesti di commentatore economico”. Lo scorso febbraio, per esempio, l’attuale premier indicò all’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, la lezione greca: “Se si vuole essere seri sulle liberalizzazioni – scrisse Monti sul Corriere della Sera – si rivisiti pure la Costituzione, ma prima ancora si visiti Atene”. Difficile ripeterlo oggi, ma per Giavazzi la sostanza dell’operato del governo tecnico resta positiva: “L’Italia mi pare sia uscita dal cono d’ombra proiettato dalla Grecia, nel quale invece rimane il Portogallo. Nemmeno il rischio di una loro uscita dall’euro ci colpirebbe”, spiega appena conclusa una lezione agli studenti del Mit di Boston.
Giavazzi non per questo eccede in ottimismo: “Il rischio è quello che riguarda lo sviluppo”. Secondo l’economista internazionale, “le riforme di Monti hanno migliorato le prospettive di crescita nel medio periodo, ma le tasse contenute nel decreto Salva italia di dicembre le hanno peggiorate nell’immediato”. Le previsioni delle organizzazioni globali infatti sono tutt’altro che rosee: il Fondo monetario internazionale stima per il nostro paese un calo del pil del 2,2 per cento nel 2012. “Continuo a pensare che il dato finale sarà più vicino a meno 3 per cento – rincara la dose Giavazzi – a meno di buone sorprese dagli Stati Uniti”. “Tutto quindi dipende da quanto gli investitori si spaventeranno per questi numeri e quanto piuttosto saranno rassicurati dalle prospettive a medio termine”. Possibile che su tutto ciò il governo non possa incidere? “Molto dipenderà dall’abilità comunicativa dell’esecutivo e dalla presenza o meno di tensioni sociali in conseguenza dell’aggravarsi della recessione”. Secondo alcuni analisti, si tratta piuttosto – anche nel caso di Monti – di mettere in moto riforme incisive e di non indulgere in annunci mediatici: “La cartina di tornasole sarà la riforma del mercato del lavoro, il modo in cui l’esecutivo affronterà il nodo dell’articolo 18. Però aver avuto per esempio il coraggio di separare la rete di distribuzione del gas dalla società produttrice, l’Eni, non mi è parsa piccola cosa”. Le liberalizzazioni? Gli emendamenti parlamentari? “Su questo il timing mi sembra sia stato perfetto”.
Se le prospettive di crescita sono quelle che sono e il governo sta facendo bene, non resta che attendere: “No, si possono abbassare le tasse”. Davvero? “Serve una ‘svalutazione fiscale’, ovvero abbassare l’incidenza del cuneo fiscale sul costo del lavoro. In un’area monetaria con il tasso di cambio fisso, come quella europea, questa riduzione del costo del lavoro avrebbe l’effetto di una svalutazione della moneta. Rilancerebbe la competitività”. Trovare risorse oggi sembra impossibile: “A meno di tagliare il bilancio attuale, riducendo gli incentivi alle imprese e snellendo l’enorme macchina della pubblica amministrazione. Perciò l’unica critica di fondo che muovo al governo – continua Giavazzi – è quella di non avere fatto nulla sul fronte della spesa pubblica. E questo, a mio parere, è in parte dovuto al fatto che il presidente del Consiglio ha deciso di confermare in toto la squadra economica: ma persone che in 10 anni non sono riuscite a tagliare alcuna spesa non sono certamente le più adatte per suggerire come farlo ora”. Non crede quindi alla spending review avviata dall’esecutivo? “Certo, prima bisogna conoscere i capitoli di spesa, ma poi si dovrà passare a ridurla”. Piuttosto che continuare con tanti aggiustamenti continui, un’alternativa consisterebbe nell’aggredire lo stock del debito: “Prima va fermato l’aumento della spesa pubblica, altrimenti abbattare il debito non serve a nulla. Lo ha dimostrato la nostra storia recente: negli anni 90 con le privatizzazioni riducemmo il debito di 15 punti percentuali, ma poi? Sono venuti a mancare gli incentivi al contenimento della spesa, e l’indebitamento è presto risalito. Oggi una patrimoniale sarebbe soltanto controproducente”.


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