L'anteprima dal Foglio del lunedì

La Grecia sarà un'eccezione, ma noi dobbiamo stare attenti

Giuliano Ferrara

L’analisi tecnica del fallimento greco, disordinato e tardivo, è stata fatta da Alessandro Penati su Repubblica e da altri. Le banche francesi e tedesche devono avere il tempo di neutralizzare parte delle conseguenze, il patto fiscale che chiude nella disciplina rigorista l’eurozona e altri membri della Ue ha bisogno di qualche tempo per definirsi formalmente come cordone sanitario eccetera. Poi la Grecia tornerà alla dracma.

    L’analisi tecnica del fallimento greco, disordinato e tardivo, è stata fatta da Alessandro Penati su Repubblica e da altri. Le banche francesi e tedesche devono avere il tempo di neutralizzare parte delle conseguenze, il patto fiscale che chiude nella disciplina rigorista l’eurozona e altri membri della Ue ha bisogno di qualche tempo per definirsi formalmente come cordone sanitario eccetera. Poi la Grecia tornerà alla dracma.

    E’ il resoconto, con anticipazioni abbastanza convincenti sul futuro, di un fallimento che è anche e sopra tutto un fallimento europeo, del duo Merkozy in particolare. E’ vero che i greci hanno cambiato in modo truffaldino le carte in tavola, e come scrive il New York Times il vero problema, al contrario di quanto accade per il disastrato Portogallo, è la totale mancanza di fiducia dell’eurocrazia nella classe dirigente ellenica, alla quale perfino il controllo del settanta per cento dell’eventuale e finale salvataggio verrebbe sottratto con un conto ad hoc per i rifinanziamenti, fuori dal suo controllo e fuori dalla sua residua, risibile quota di sovranità nazionale. Ma la parte peggiore della diagnosi degli esperti internazionali, che deve preoccupare anche noi, riguarda l’avvitamento di austerità, recessione e aggravamento a spirale del debito. La dinamica è appena ovvia: se un paese si impoverisce perché è chiamato a sanare i suoi debiti con un ritmo insostenibile, poi la sua povertà genera altro debito compulsivamente. E’ quello che è accaduto e sta accadendo in una Grecia prostrata dal calo del prodotto interno lordo, da un’instabilità sociale comprensibile per via di sacrifici portentosi e dolorosissimi, che generano forme di insubordinazione politica, tensioni ideologiche antitedesche e proteste sociali violentissime e apparentemente irrefrenabili. Una avvilente sconfitta per gli europei.

    L’Italia oggi spera di assomigliare in tutto alla sua nuova foto, la copertina di Time dedicata a Monti, l’uomo che forse può salvare l’Europa. E’ un wishful thinking, è una speranza scambiata per realtà? A giudicare dall’aria che tira, la recessione italiana non sarà indolore. E’ vero che siamo patrimonializzati, che le famiglie sono tra mille virgolette ricche, che il posto occupato dall’Italia è più felicemente ingombrante anche sulla scala della finanza internazionale, e sopra tutto del sistema industriale e produttivo e di servizi europeo e mondiale, tutto vero; ma non è anche vero che si può e si deve razionalmente dubitare della capacità di avviare da noi e in questo contesto europeo una politica anticiclica efficace, contro la recessione, in base alle liberalizzazioni così come sono uscite dalla testa del Preside e del suo Consiglio di facoltà, e alla futuribile riforma del mercato del lavoro?

    Gli indici fondamentali restano volatili ed è però giusto considerare, anche con qualche ottimismo, gli elementi di stabilizzazione nei mercati finanziari. Ma sulla ripresa di un processo di produzione della ricchezza pesano, a parte le cifre di previsione del pil che rinviano il tutto a data da destinarsi, a parte un sentimento da remi in barca che riguarda un po’ tutti, due incognite fenomenali: la pressione fiscale e la scarsa propensione al rischio degli italiani, il cui stile di vita si vuole cambiare da molti secoli, con risultati appena percettibili.

    La Grecia sarà anche una drammatica eccezione, che chiama riflessione e compassione politica, perché le condizioni in cui la crisi è stata fatta marcire riguardano certo le responsabilità della nazione ferita, ma anche e forse sopra tutto la moneta rigida, l’euro, che ha illuso i poveri di essere diventati ricchi e poi ha fatto scudo contro una svalutazione che forse avrebbe tamponato certe vistose e disperate falle sociali per cui si perde un bel pezzo del salario e molto lavoro e uno status di protezione anche minima nel giro turbinoso di pochi mesi. Ma avere un piede incastrato in una chiara dinamica recessiva è rischio immenso anche per un paese più forte e meno esposto come l’Italia. Con Monti, per Monti e solo con Monti, tutti, appassionatamente. E’ la nuova ondata di benevolenza verso il potere che, complice il grande machiavello di Mario Draghi, erezione della muraglia della liquidità con mezzi non eccitanti del malumore tedesco, pervade l’opinione pubblica, i giornali, forse anche una parte dei focolari domestici. Ma se fosse tutta una generosa e volontaristica illusione? Se ci volesse ben altro in termini di libertà economica delle imprese per la crescita, e di riduzione del peso fiscale sul lavoro e la produzione, per riprendersi? La domanda è lecita, anzi obbligata.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.