
Garzón, il giudice totalitario
La sala penale del tribunale Supremo spagnolo ha espulso dall’ordine giudiziario Baltasar Garzón, condannandolo a undici anni di inabilitazione dalle funzioni di giudice. Non è stata una sentenza “politica”, come dimostra l’unanimità dei sette componenti della Corte giudicante. L’episodio da cui si è avviato il processo è l’intercettazione e la trascrizione, ordinata da Garzón, delle conversazioni tra alcuni imputati, in carcere preventivo per una trama corruttiva, e i loro avvocati difensori.
La sala penale del tribunale Supremo spagnolo ha espulso dall’ordine giudiziario Baltasar Garzón, condannandolo a undici anni di inabilitazione dalle funzioni di giudice. Non è stata una sentenza “politica”, come dimostra l’unanimità dei sette componenti della Corte giudicante. L’episodio da cui si è avviato il processo è l’intercettazione e la trascrizione, ordinata da Garzón, delle conversazioni tra alcuni imputati, in carcere preventivo per una trama corruttiva, e i loro avvocati difensori. Questi avvocati hanno denunciato Garzón per la violazione palese dei più elementari diritti della difesa, e, nonostante l’incredibile posizione innocentista assunta dalla procura, il più alto tribunale spagnolo ha dato loro ragione. Nel durissimo dispositivo della sentenza i giudici censurano Garzón per aver usato “pratiche da regime totalitario” e di aver causato “una drastica e ingiustificata riduzione del diritto di difesa”.
Garzón, si legge nel testo della sentenza, “ha collocato tutto il processo penale spagnolo, teoricamente dotato delle garanzie costituzionali e legali proprie di uno stato di diritto contemporaneo, al livello di sistemi politici e processuali caratteristici di tempi superati”. Il riferimento trasparente al passato franchista appare particolarmente contundente nei confronti di Garzón, che si è presentato come difensore strenuo delle vittime del franchismo aprendo un procedimento sui crimini del precedente regime, e che anche per questo è imputato in un altro procedimento che dovrebbe arrivare a sentenza nei prossimi giorni. Il tribunale, in sostanza, ha giudicato che Garzón non ha dato solo un’interpretazione erronea alle norme che garantiscono i diritti della difesa, ma che li ha voluti violare consapevolmente e senza alcuna ragione giuridica.
Così, salvo un’improbabile revisione della sentenza da parte della Corte costituzionale, si conclude la vicenda giudiziaria del più celebre giudice spagnolo, che si è intrecciata a vicende politiche controverse, sempre con una sovraesposizione mediatica che ricorda le vicende nostrane. La differenza tra la situazione spagnola e la nostra è che la magistratura non si è chiusa in una difesa corporativa e ha saputo intervenire in modo penetrante sugli abusi di potere, sull’uso improprio di strumenti investigativi e sulle prevaricazioni dei giudici. Si dovrebbe riflettere sul fatto che la prassi giudiziaria italiana, in troppi casi, esula da quelli che giustamente il tribunale Supremo spagnolo considera i caratteri tipici di uno stato di diritto contemporaneo. Anche in Spagna, va detto, il protagonismo giustizialista di Garzón ha tenuto il campo per un ventennio, ma alla fine è stato censurato in modo definitivo da altri giudici, non dalla politica.


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