
Il vero amore si mette di traverso nella festa sessualmente libera di Yale
La settimana del sesso a Yale non è un festival della pornografia in senso stretto, ne è soltanto la sublimazione intellettuale a misura di Ivy League. Nemmeno William Buckley, autore nei primi anni Cinquanta di un fondamentale pamphlet insieme riflessivo e di denuncia sul secolarismo sciatto che dominava il campus del Connecticut, avrebbe previsto che su quel sostrato sarebbe nata una kermesse.
La settimana del sesso a Yale non è un festival della pornografia in senso stretto, ne è soltanto la sublimazione intellettuale a misura di Ivy League. Nemmeno William Buckley, autore nei primi anni Cinquanta di un fondamentale pamphlet insieme riflessivo e di denuncia sul secolarismo sciatto che dominava il campus del Connecticut, avrebbe previsto che su quel sostrato sarebbe nata una kermesse dove il rabbino ortodosso gay (e padre di famiglia) va a braccetto con la femminista attempata che discetta di contraccezione e con i maestri di bondage e sessualità alternativa, qualunque cosa significhi.
Nella settimana del sesso che si sta svolgendo a Yale ci sono documentari sulla scoperta del vibratore, tavole rotonde sulla sessualità dei latinos, convegni sul rapporto fra l’orgasmo e i social network, workshop parateologici su sessualità e divinità e anche eventi di taglio più scientifico (ma non meno edificanti) sulla trasmissione delle malattie veneree. Nulla di nuovo. Da quando nel 2002 una coppia di studenti ha deciso di lanciare questa iniziativa progressista e d’avanguardia, ogni due anni il campus si anima per una settimana di attività strettamente intellettuali per approfondire le relazioni sessuali fra uomo, donna e indeciso (in certi ambienti liberal avere un sesso preciso è un handicap) in tutte le combinazioni possibili. Sulla Sex Week ci hanno fatto anche un film e nel campus è una specie di appuntamento leggendario che funge anche da termometro del pensiero liberal diffuso a Yale.
E l’Università di New Haven è un buon campione per afferrare la mentalità che gira a livello delle università dell’élite americana. Ciò che è decisamente nuovo, invece, è la contromanifestazione organizzata da un gruppo di studenti stanchi del paradigma fiacco che origina la Sex Week. L’hanno chiamata la “settimana del vero amore”, evento molto più dimesso e all’apparenza meno cool che pone il problema della sessualità in termini di fedeltà, stabilità, magari azzardando addirittura l’impopolare idea dell’amore esclusivo. Come è ovvio a chiunque abbia compiuto quindici anni, la settimana del vero amore non può competere con la settimana del sesso in termini di successo mondano. Una lezione dove il capo del progetto sul matrimonio dell’Università della Virginia sostiene che la relazione matrimoniale stabile è più soddisfacente del sesso occasionale non può reggere il confronto con un lavoro di gruppo su come aiutare il partner a indossare il preservativo senza usare le mani. Ma i paladini del vero amore non si sono persi d’animo e in questi giorni Yale è una specie di campo di battaglia nel quale si scontrano due visioni del mondo. Uno dei fondatori della settimana del vero amore, Eduardo Andino, dice che loro vogliono soltanto “trattare il sesso con un po’ più di rispetto”, mentre gli altri, i figli dei figli dei fiori, imbevuti di corsi di educazione sessuale e “gender studies”, riducono ogni cosa alle categorie materialistiche che conoscono. E gli sparuti contromanifestanti sono considerati troppo bigotti per avere il diritto all’espressione pubblica. I loro incontri sono perennemente interrotti dal “kiss in”, forma di protesta molto liberal in cui la gente si alza in mezzo alla stanza e si bacia.


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