Maroni non è Fini, maneggiare con cura

Redazione

Maroni non è contento? Non è che per questo ci mettiamo a piangere”. La ruvida sentenza con cui Umberto Bossi ha ritenuto di poter chiudere lo scontro con Roberto Maroni a proposito del voto parlamentare su Cosentino, richiama il sapore di un’altra sfida personalistica che ha fatto molto male al centrodestra, il “che fai, mi cacci?” gridato da Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi. Si sa come finì, male per entrambi.

    Maroni non è contento? Non è che per questo ci mettiamo a piangere”. La ruvida sentenza con cui Umberto Bossi ha ritenuto di poter chiudere lo scontro con Roberto Maroni a proposito del voto parlamentare su Cosentino, richiama il sapore di un’altra sfida personalistica che ha fatto molto male al centrodestra, il “che fai, mi cacci?” gridato da Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi. Si sa come finì, male per entrambi. Maroni è un leader della Lega che, pur con qualche titubanza, sta contendendo al vecchio leader il comando politico. Per Bossi sarebbe un errore trattarlo, come forse gli consigliano di fare, come un traditore da cacciare. Una spaccatura della Lega non potrebbe che indebolirla, marginalizzarla, radicalizzare almeno una delle due anime, nel momento in cui è invece chiaro che al partito padano servirebbe una rigenerazione di idee, programmi, prospettiva politica e infine anche  classe dirigente.

    Maroni però non è Fini, titolare sulla carta di una minoranza rivelatasi inesistente. L’ex ministro dell’Interno ha dalla sua una parte consistente, se pure non maggioritaria, della Lega sul territorio e molti dei migliori dirigenti. Sa che affidare il futuro del movimento a una risibile successione dinastica sarebbe la sua morte. Sa che se la Lega non si rimette a fare politica “finiamo come Prc”. Idea giusta, ma che va maneggiata con cura: se Maroni rompesse definitivamente l’alleanza con il Pdl, in una prospettiva identitaria e per giunta neo giustizialista, il rischio sarebbe di far tornare la Lega al rango di una forza isolata e minoritaria, del cappio e delle valli. Sarebbe la fine del percorso di “nazionalizzazione” e responsabilizzazione che la Lega ha compiuto in questi anni, la negazione di una prospettiva politica che al centrodestra, e al paese, invece serve.