
Libero disordine in vista
Ci avviamo verso un periodo di libero disordine. Nessuno troverà mai la proporzione perfetta, la corrispondenza celeste in fatto di liberalizzazioni. Non la troverà il governo con i suoi imminenti decreti legge, non la troveranno le corporazioni che già parlano di serrate e manifestazioni ed elaborano un manifesto dell’interdetto e della protesta dura.
Leggi l'editoriale Liberalizzare sì, ma anche gli oligopoli - Leggi Due o tre cose che non ho capito sulle liberalizzazioni dei taxi di Adriano Sofri - Leggi La gran confusione liberalizzata
Ci avviamo verso un periodo di libero disordine. Nessuno troverà mai la proporzione perfetta, la corrispondenza celeste in fatto di liberalizzazioni. Non la troverà il governo con i suoi imminenti decreti legge, non la troveranno le corporazioni che già parlano di serrate e manifestazioni ed elaborano un manifesto dell’interdetto e della protesta dura, i sindacati che sono alle prese con la flessibilità in uscita dal lavoro e altre vie per ridurre l’inoccupazione e la precarizzazione abusiva, la Confindustria che non è proprio un soggetto innovatore per sua natura, l’amministrazione pubblica da sempre tenutaria dello status quo, le banche in bilico sull’abisso del credit crunch, e i molti altri poteri in gioco. Sarà un periodo agitato, con fenomeni di rivolta in nome di interessi minacciati, di posizioni anche di piccola rendita rese all’inizio più insicure, e comunque il cambiamento del già noto, del già sperimentato, è qualcosa che produce ansia sociale, agitazione, rabbia, riflessi di tipo chiuso e arcigno. Ciascuno tirerà fuori il suo argomento, e il principe degli argomenti è stato già anticipato da posizioni di destra liberale, più o meno dottrinarie, che parlano di criminalizzazione della ricchezza e di intollerabile invadenza dello stato, quando si tratti di lotta all’evasione fiscale; e di nuovi penosi sforzi richiesti ai piccoli quando invece ai grandi campioni dell’economia di semi-monopolio è riservata un’attesa in certi casi anche troppo prudente, sottraendo i colossi da liberalizzare e forse privatizzare dalla lista delle priorità.
La battaglia delle liberalizzazioni deve essere condotta, necessaria e urgente com’è la rottura della pietrificazione sociale di questo paese, con oculatezza, risparmio di prediche e di inganni, senso della realtà, nessun dottrinarismo liberale, molto pragmatismo. Si farà un passo avanti, poi mezzo passo indietro, e poi a zig zag si cercherà di introdurre mobilità, variabilità, concorrenza, competizione e nuovi modelli di business in molti campi. Questa, almeno, è la strategia che promettono i professori al governo e il signor Preside. Ed è la strategia giusta, soprattutto se si partirà con un fronte allargato, se si farà percepire al paese che non si tratta di piccole rivalse o di rancorosi tentativi di penalizzazione ai danni di questi o di quelli, ma di un piano per rilanciare il lavoro, l’investimento, i consumi e alla fine il generale sistema di produzione della ricchezza in un paese che da anni produce soprattutto spesa e debiti, con conseguenze amare per tutti. Una licenza in più ai tassisti vuol dire che sono liberi di usarla, non obbligati, e che se la mettono sul mercato, e il mercato la valorizza perché c’è lavoro, allora non avranno ragione di lamentarsi di un’apertura dell’accesso alla loro professione, compensata da un bonus importante a chi già è dentro il recinto e ha pagato per esserci con soldi e lavoro. Lo stesso per le farmacie, i carburanti e altri sistemi di trasporto e commercializzazione dei beni e dei servizi. Più alta e generalizzata sarà la sfida riformatrice all’immobilismo, più il disordine prossimo venturo potrà essere, come si dice, non biecamente difensivo, non arroccato, non violento e interdittivo, ma creativo.
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