
La marcia di Berlioz su Bruxelles
“Bruxelles non è Mosca”, ha scandito il premier ungherese Viktor Orban inaugurando una mostra alla Galleria di Budapest. Vi figura un ritratto di Imre Nagy, l’eroe della rivolta contro i carri armati sovietici di cui il primo ministro organizzò il funerale postumo nel 1989. Prese le dovute cautele sulle venature autoritarie tipiche della politica est-europea, la sfida di Orban è soprattutto all’europeismo ideologico.
“Bruxelles non è Mosca”, ha scandito il premier ungherese Viktor Orban inaugurando una mostra alla Galleria di Budapest. Vi figura un ritratto di Imre Nagy, l’eroe della rivolta contro i carri armati sovietici di cui il primo ministro organizzò il funerale postumo nel 1989. Prese le dovute cautele sulle venature autoritarie tipiche della politica est-europea, la sfida di Orban è soprattutto all’europeismo ideologico. Una sfida fiscale, vista la decisione di porre la Banca centrale sotto il controllo politico. Già leader dei dissidenti antisovietici, Orban propone oggi una “rapsodia capitalistica” contro il “socialismo gulash”, come András Lánczi, teorico liberale ungherese, ha definito le politiche socialdemocratiche che hanno fatto sprofondare il paese nella stagnazione. Persino János Kis, ex dissidente che oggi battaglia con il premier, ha detto che la causa della vittoria di Orban è stata la débâcle della sinistra al potere dal 2002 al 2010. “Nessuno al mondo può dirci come dobbiamo legiferare”, ha risposto Orban, forte di due terzi del Parlamento, al Fondo monetario, al dipartimento di stato americano e al presidente della Commissione europea. “Non ci siamo sottomessi a Vienna nel 1848, ci siamo sollevati a Mosca nel 1956 e nel 1990 e oggi non permetteremo a Bruxelles di decidere per noi”.
La rapsodia di Orban è nota come “kuruc”, dall’insurrezione antiasburgica del principe Francesco II Rákóczi che ispirò la “Marcia ungherese” di Berlioz. Nella nuova “Costituzione di Pasqua”, che sostituisce quella d’epoca sovietica, la dicitura “Repubblica d’Ungheria” lascia il posto alla sola “Ungheria”. La Costituzione riduce le denominazioni religiose che godono di benefici pubblici (cattoliche, protestanti, ebraiche e ortodosse), limitando l’espansione della setta Scientology. Orban restituirà alle chiese quel che è stato espropriato in era comunista. Unica in Europa, la Costituzione tutela la “vita dal concepimento”. Fra i leader del Partito popolare europeo, Orban è contro la decisione del Consiglio d’Europa che chiede agli stati membri di “garantire il diritto d’aborto”. Contro il denatalismo post comunista che ha portato l’Ungheria ad avere i tassi di nascita fra i più bassi del mondo, Orban sosterrà la maternità al grido di “Pacem in Utero” (pace nell’utero). La Costituzione dà il voto agli ungheresi all’estero. “L’Irlanda è libera di dare passaporti a chi è nato in Irlanda del nord, mentre Orban che concede la cittadinanza agli ungheresi oltre i confini destabilizzerebbe l’Europa?”, ha scritto sulla rivista inglese Standpoint Tibor Fischer (ci sono anche gli italiani all’estero). Orban ha un approccio liberal alle minoranze, in particolare csángós, che ha appena dispensato dal dovere di dimostrare le proprie origini nell’Ungheria pre 1918. Sulle accuse di antisemitismo, Orban ricorda che è stato lui a stabilire la giornata dell’Olocausto e che ha rapporti di lungo corso con Israele. Durante le elezioni a Budapest l’estrema destra ha scritto sui muri: “Fidesz=Zsidesz”. Ovvero il partito di Orban non sarebbe altro che una cospirazione ebraica.


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