
Libertà per arricchirsi (o per non morire di stagnazione)
Con il fuori orario delle botteghe parte a razzo il ciclo delle liberalizzazioni
Il dibattito sulla liberalizzazione degli esercizi commerciali italiani ferve. A 48 ore dall’entrata in vigore delle norme che consentono orari no stop dei negozi, addetti ai lavori e consumatori si dividono. I consumatori, secondo i sondaggi, apprezzano la decisione; sono divisi invece i commercianti, con molte associazioni di categoria dei “piccoli” che danno un giudizio negativo. Il Foglio ha parlato con uno dei massimi esperti in materia: Roberto Ravazzoni, ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore del centro di ricerca della Bocconi su marketing e servizi (Cermes).
Il dibattito sulla liberalizzazione degli esercizi commerciali italiani ferve. A 48 ore dall’entrata in vigore delle norme che consentono orari no stop dei negozi, addetti ai lavori e consumatori si dividono. I consumatori, secondo i sondaggi, apprezzano la decisione; sono divisi invece i commercianti, con molte associazioni di categoria dei “piccoli” che danno un giudizio negativo. Il Foglio ha parlato con uno dei massimi esperti in materia: Roberto Ravazzoni, ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore del centro di ricerca della Bocconi su marketing e servizi (Cermes). Sicuramente l’ultimo studioso, nel 2010, ad aver stimato gli effetti quantitativi di simili norme rompi-lacciuoli: le sole aperture domenicali, per esempio, se consentite porterebbero a un aumento dello 0,25 per cento del pil. Per non dire dei possibili risparmi per i consumatori: tra commercio al dettaglio alimentare e non-food, i risparmi sarebbero rispettivamente di 8,5 e di 2,5 miliardi: circa 400 euro a famiglia ogni anno. In tempi di recessione, con aumenti di prezzi generati anche dall’incremento di imposte e accise, decisamente uno “stimolo” da non disdegnare.
Ma ora il salto legislativo è anche maggiore: “In base alle norme approvate a dicembre, da buoni ultimi in Europa passiamo ai primi posti per libertà nel settore – spiega Ravazzoni – non solo per la piena libertà di fissare orari di apertura e chiusura dei negozi, come previsto dal primo comma dell’articolo 31 del decreto ‘salva-Italia’, ma soprattutto per quanto previsto dal secondo comma. Entro 90 giorni infatti le regioni dovranno adeguarsi e consentire libertà di apertura per le nuove attività commerciali. Queste ultime non dovranno più ottenere tutta una serie di gravose licenze e autorizzazioni, come accade oggi soprattutto per le strutture medio-grandi”. Secondo Ravazzoni, per via della congiuntura negativa, nell’immediato non saranno troppo evidenti sui consumi gli effetti positivi di questa liberalizzazione, ma i canali di trasmissione di energia vitale all’economia non mancano. Specie se la riforma sarà congiunta ad altre liberalizzazioni come quelle discusse ieri a lungo a Palazzo Chigi dal premier Mario Monti assieme ad alcuni suoi ministri e al governatore di Bankitalia, Ignazio Visco.
La prima conseguenza positiva della liberalizzazione interessa infatti i consumatori: “Nella società contemporanea il fattore tempo è fondamentale, e queste misure di fatto liberano il tempo dei cittadini, consentendogli più libertà di scelta e di spostamento al momento degli acquisti”. Non si tratta di mero “consumismo”, come sostengono alcuni critici, ma piuttosto di consumi che potranno diventare più consapevoli e di una accresciuta “qualità della vita”. Poi ovviamente ci sono da considerare i maggiori introiti delle attività commerciali che, sottolinea Ravazzoni, si vedranno ancora di più non appena sarà passata la recessione, anche se non saranno trascurabili sin da ora per i cosiddetti “acquisti di impulso”. Infine le ricadute in termini di occupazione: “Per restare aperti più a lungo e in maniera flessibile, cresceranno soprattutto occasioni di lavoro part-time, più appetibili per i giovani. Come dimostra l’esperienza di quelle grandi città europee dove la liberalizzazione è avviata da più tempo, è prevedibile che gli immigrati sfrutteranno anche maggiormente queste nuove possibilità”.
Bene, ma non si rischia così di distruggere il tessuto storico del piccolo commercio? “Nel breve periodo – risponde Ravazzoni – i benefici di cui ho parlato saranno ottenuti a costo di un certo vantaggio per la grande distribuzione, che ha una funzione di produzione più flessibile”. Il che vuol dire, per esempio, che per un negozio a conduzione famigliare è più difficile assumere un commesso extra in modo da restare aperti più a lungo. “Ma nel lungo periodo questo fornirà un incentivo alle associazioni di categoria: invece di difendere interessi corporativi, dovranno organizzarsi, informare di più i consumatori, coordinarsi per animare i centri storici e trasformarli in cosiddetti ‘superluoghi’, una specie di centri commerciali all’aperto”. Senza dimenticare comunque, conclude il ricercatore della Bocconi, che “uno studio serio della dinamica dei prezzi in Italia dimostra che i problemi restano soprattutto nei settori delle public utilities, delle banche, dei carburanti”.


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