Perché il Natale va festeggiato comunque
Al direttore - Mi ero sorpreso, a prima vista, di fronte al Suo invito al pontefice: non ‘festeggiare' il Natale data la forma orrenda che ha assunto il mondo. Anche nei ‘preti d'assalto', poniamo, non è mai mancato qualcosa di simile: sospendere il Natale finché v'è qualcuno che soffre. Ma non hanno alcuna parentela con Ferrara.
di Pietro De Marco
Al direttore - Mi ero sorpreso, a prima vista, di fronte al Suo invito al pontefice: non ‘festeggiare' il Natale data la forma orrenda che ha assunto il mondo. Anche nei ‘preti d'assalto', poniamo, non è mai mancato qualcosa di simile: sospendere il Natale finché v'è qualcuno che soffre. Ma non hanno alcuna parentela con Ferrara. Ho visto subito dopo che il quadro del mondo che Lei profilava è quello dell'uccisione dei non nati, che in genere ai contestatori ecclesiali non interessa. Ma vorrei dirLe perché (non: a mio parere, che sarebbe poca cosa) il Natale va ‘festeggiato' comunque. Anzitutto sul ‘festeggiare'; separiamo il fare festa, umanissimo, per e in un periodo festivo, dal celebrare una Festa, una potente ricorrenza annuale che dice, anzi ‘rappresenta', la storia (sacra) del mondo. Possiamo chiedere di non gioire, emotivamente, secolarmente, durante le feste, riflettendo sulle morti autorizzate e deliberate per il peggior fine, la nostra condizione gratificata, appagata, di ultimi uomini. Gli ‘ultimi uomini' elevano sacrifici umani alla propria ‘felicità' (animale, per ricordare Alexandre Kojève) che chiede solo appagamento. Ma non possiamo, non dobbiamo, chiedere di non celebrare, e con gioia, la festa della Nascita di Gesù. Poiché qualsiasi cosa avvenga nella storia, quell'evento (l'Incarnazione) è certitudo salutis. Non nel senso di uno stolido ‘siamo tutti salvi per bontà di Dio', un ‘ora siamo a posto' poiché tutto ci verrà perdonato - che detto così, absolute, è estraneo alla Rivelazione.
Il Natale esige festa, ovvero rottura del tempo ordinario (secondario), intensificazione del Tempo che rende attuale l'Evento per cui ne gioiamo come fosse ora. Certo: una gioia rivolta esclusivamente a quella carne divina. Questa stessa gioia è giudizio (krisis) e fondamento di giudizio, poiché a rigore nient'altro è festeggiato; ogni altro motivo può essere messo tra parentesi, politicamente (cioè, nell'evidenza del Nemico, contro il desiderio dell'ultimo uomo di non avere Nemico se non in colui che casualmente contrasta il suo autodesiderio). E' fondamento di giudizio: senza la certezza dell'Incarnazione ogni altra salvazione è credibile, la più ingenua o la più infame; ma con canone dell'Incarnazione ogni sacrificio umano (qual è l'aborto) risulta infondato, per rispetto che quegli esseri (che chiamiamo embrioni o feti) chiedono e, ancora di più (se vi è un di più), per l'assenza di ogni ragione fondante. Il Natale ci rende estranei alla nostra chiusa eudemonia, ma capaci di storia. Chiederei a Benedetto XVI - ma non ve n'è bisogno - una celebrazione splendente e ridente (perché ogni liturgia partecipa alla gioia dei cieli) del hodie natus est nobis. Riderà anche Lei, a quel punto, con gratitudine per la maternità di Maria. Saprà, sapremo, da lì che è fondato negare la festa di chi insidia gli Innocenti. Buon Natale.
Pietro De Marco


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