Monti in guanti di velluto

Il tecnogoverno studia se e come tagliare gli aiuti statali alle imprese

Redazione

Approvato il decreto “salva Italia”, su cui oggi il governo porrà la fiducia alla Camera, i principali dossier su cui Mario Monti e l'esecutivo hanno annunciato di volersi impegnare sono due: riforma pro crescita del mercato del lavoro e riduzione della spesa pubblica.

di Marco Valerio Lo Prete e Michele Arnese

    Approvato il decreto “salva Italia”, su cui oggi il governo porrà la fiducia alla Camera, i principali dossier su cui Mario Monti e l'esecutivo hanno annunciato di volersi impegnare sono due: riforma pro crescita del mercato del lavoro e riduzione della spesa pubblica. “Sulla cosiddetta ‘spending review' sottoscrivo quanto detto dal premier – spiega al Foglio Gianfranco Polillo, sottosegretario al ministero dell'Economia – L'unico sistema per contrastare il ‘muro di gomma' che si oppone a ogni limitazione delle uscite è possedere uno schema chiaro delle uscite stesse”. 

    La spending review, ovvero un programma di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni pubbliche come premessa per poi limare in maniera selettiva, e non lineare, le unghie allo stato. Secondo la ricostruzione del Foglio, prove tecniche di questo processo si sono viste già in queste ore in Parlamento. Il loro esito negativo, però, ha costretto a ripiegare per lo più su aumenti delle imposte ai fini della correzione di bilancio. In alcune riunioni informali a margine dei lavori della commissione Bilancio e Finanze della Camera, il tentativo è stato quello di ridurre gli incentivi pubblici alle imprese in cambio di sgravi fiscali. La proposta, sotto forma di emendamento, è stata presentata dai deputati di Fli (Terzo polo), di fatto per tradurre in forma legislativa la domanda posta a Monti da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 4 dicembre (“Caro presidente no, così non va”): “Per ridurre il deficit, invece di alzare le aliquote, perché non tagliare un po' di sussidi alle imprese?”. Così il think tank Libertiamo, presieduto dal deputato Benedetto Della Vedova, ha studiato uno “scambio” tra trasferimenti statali alle imprese e abbassamento dell'Irap: una riduzione di 3,5 miliardi annui dei sussidi pubblici, secondo i calcoli, avrebbe consentito infatti di finanziare un taglio dell'Irap per le imprese italiane pari a circa il 13 per cento.

    Ma lo scambio non è stato accettato.
    Nel corso delle riunioni sulla manovra, alle quali hanno partecipato i rappresentanti della maggioranza (Pdl, Pd e Terzo polo) e il ministro per i Rapporti con il Parlamento, l'economista Piero Giarda, il “no” è stato motivato con ragioni politiche e poi tecniche. Il Pd su questo dossier si schiera di fatto con quei settori di Confindustria che ritengono vitale l'aiuto della mano pubblica, sotto forma di incentivi diretti alle imprese. Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd, ha spiegato che in realtà i sussidi pubblici, utili per una vera politica industriale, sarebbero meno generosi di quanto non si dica generalmente. Il senatore Mario Baldassarri (Fli) parla di 50 miliardi di euro cui attingere? Sarà, ma secondo le stime della società di ricerche Met riportate da Fassina, questi sussidi “sono ben al di sotto dei 3 miliardi di euro”.

    Non ha avuto più fortuna la proposta di mediazione del Terzo polo, che pure aveva chiesto tagli di spesa in base a stime piuttosto conservative (3,5 miliardi all'anno, a fronte dei 30 miliardi complessivi). Anche perché lo stesso Giarda, di fronte all'insistenza di Fli e al placet del Pdl, avrebbe ammesso la difficoltà di procedere a uno snellimento dello stato senza una revisione approfondita. D'altronde anche la Ragioneria generale dello stato, in questi giorni, ha rimarcato in uno studio che misurare l'efficacia della spesa è indispensabile per evitare i “tagli lineari”. O, con maggiore probabilità, aumenti delle tasse.

    di Marco Valerio Lo Prete e Michele Arnese