Demagogia egualitaria e sviluppo
La discussione parlamentare del decreto emanato dal governo mette alla prova le forze politiche della “maggioranza che non c'è”, e in particolare il Partito democratico, che soffre più degli altri l'opposizione sindacale concentrata soprattutto sulla riforma delle pensioni.
La discussione parlamentare del decreto emanato dal governo mette alla prova le forze politiche della “maggioranza che non c'è”, e in particolare il Partito democratico, che soffre più degli altri l'opposizione sindacale concentrata soprattutto sulla riforma delle pensioni. Qualcosa si potrà fare, ma il vincolo dei saldi invariati lascia margini assai ristretti, che possono essere usati per qualche correzione al livello delle pensioni private del recupero dell'inflazione e forse, sull'altro versante, per un modesto aumento della quota esente per l'Ici della prima casa. Non è però sul terreno scivoloso dell'equità che il Pd potrà fornire risposte convincenti, nelle condizioni attuali. D'altra parte, l'idea che la contropartita ai sacrifici imposti ai ceti popolari sia un atteggiamento vendicativo verso i “ricchi” o la chiesa o altri nemici immaginari, è scivolosa, oltre che impraticabile.
Il vero limite dei provvedimenti non sta nella distribuzione dei carichi, che ovviamente ogni categoria considera eccessivi per sé e insufficienti per gli altri, ma nella carenza di interventi a sostegno della crescita e quindi dell'occupazione. Se non si eviterà di prolungare la recessione per tutto l'anno prossimo, se non si invertirà la tendenza con un colpo di reni, lo stesso obiettivo del pareggio si allontanerà e si può avvitare una spirale perversa che chiede sempre più tasse per inseguirlo. Se c'è uno spazio di correzione dei provvedimenti sarebbe interesse della parte produttiva del paese, di cui il Pd si considera espressione, utilizzarla per ampliare quel poco che c'è in direzione della crescita, a cominciare dalla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, acquisendo impegni sul pagamento tempestivo dei crediti vantati dalle imprese nei confronti dello stato, in modo da contribuire concretamente ad allentare la morsa del mancato credito che strangola le aziende. Far crescere la produttività è l'unica strada per uscire dalla recessione in un mercato globalizzato, e su questo è necessario concentrare gli sforzi di tutte le parti interessate alla crescita, comprese ovviamente le rappresentanze sindacali e le espressioni politiche del mondo del lavoro. E' un peccato, sulla scia perversa di un'abitudine antica, che l'esecutivo abbia anticipato le iniziative volte al contenimento del deficit accompagnandole a scarsi impegni sul fronte della crescita, rinviato in gran parte, come sempre, a un “secondo tempo”. Questa, non quella della vana demagogia egualitaria, è la frontiera su cui è possibile per una forza riformista incalzare il governo senza determinare rotture che sarebbero nefaste in questo momento, sia allargando gli spazi produttivistici avaramente presenti nei provvedimenti, sia ottenendo dai tecnici la famosa frustata che non riuscì a Berlusconi.


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