Teheran, Carter e Obama
E così le forze di sicurezza del governo iraniano, che hanno fatto del controllo brutale della piazza una scienza, ieri nella capitale dai 14 milioni di abitanti non sono riuscite a impedire che 50 studenti scavalcassero i cancelli dell'ambasciata britannica, saccheggiassero gli uffici, prendessero in ostaggio sei dipendenti e nemmeno a domare gli altri 200 che fuori urlavano “Morte all'Inghilterra!”.
E così le forze di sicurezza del governo iraniano, che hanno fatto del controllo brutale della piazza una scienza, ieri nella capitale dai 14 milioni di abitanti non sono riuscite a impedire che 50 studenti scavalcassero i cancelli dell'ambasciata britannica, saccheggiassero gli uffici, prendessero in ostaggio sei dipendenti e nemmeno a domare gli altri 200 che fuori urlavano “Morte all'Inghilterra!”. L'assalto violento alla sede di rappresentanza percepita come nemica sta diventando il nuovo protocollo diplomatico dei regimi che si sentono accerchiati, come due settimane fa hanno scoperto le ambasciate di Turchia e Arabia Saudita, assaltate a Damasco a soli cinquanta metri dalle finestre silenziose del presidente Bashar el Assad. Prima la Siria, ora l'Iran.
Questo tipo di assalti è pura intimidazione di stato. Permette al regime di turno di esibire un'assoluta e finta identità di vedute con il proprio popolo, anzi, di apparire moderato al confronto, e di rafforzare il proprio messaggio contro la comunità delle nazioni: la forza del popolo prevarrà contro di voi, in assoluto e deliberato disprezzo della legge internazionale. “Siamo rammaricati”, ha poi detto ieri, a cose finite, il governo iraniano per evitare complicazioni serie. E' la beffa dopo la devastazione. Se c'è un'immagine iconica dell'assalto all'ambasciata è senz'altro quella dell'aggressore che porta via sotto gli occhi di un poliziotto immobile un poster del film “Pulp fiction”, John Travolta e Samuel L. Jackson in cravatta sottile e pistole spianate. E davvero il regime si sente così, con la minaccia delle sanzioni e una serie temeraria di sabotaggi militari (l'ultimo forse lunedì) spianate in faccia.
A Teheran non c'è l'ambasciata di Israele, è stato quasi scontato che toccasse agli inglesi, da tempo trasformati dalla propaganda di regime in un nuovo bersaglio. Ma è impossibile evitare il collegamento con l'assalto all'ambasciata degli Stati Uniti, che oggi è un edificio vuoto. La crisi degli ostaggi americani nel 1979 fu il punto di non ritorno della Rivoluzione khomeinista. Ma simbolicamente il '79 fu anche il punto più drammatico della crisi della presenza occidentale in medio oriente, e in particolare della leadership americana: l'operazione fallita dalle forze speciali di Washington per liberare gli ostaggi paralizza ancora con il suo ricordo le Amministrazioni americane quando guardano all'Iran. L'ambasciata perduta fu il disastro di Jimmy Carter, un presidente democratico che, come Barack Obama, cercava il dialogo e l'apertura con risparmio della forza. Anche Obama indulge nella ricerca del dialogo e della mano tesa, ma ha mostrato anche un altro suo lato, quello di spietato ed eccellente esecutore di incursioni in territorio nemico, se le circostanze lo richiedessero.


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