La sinistra filobancaria
Mentre la sinistra giovanile esasperata manifesta in tutto il mondo contro le banche, la sinistra ufficiale in Italia (e non solo) applaude un governo di banchieri e di accademici amici dei banchieri. Può sembrare un paradosso, o l'esplicazione di una irriducibile distanza tra una visione estremistica e infantile e una più matura innervata di riformismo
Mentre la sinistra giovanile esasperata manifesta in tutto il mondo contro le banche, la sinistra ufficiale in Italia (e non solo) applaude un governo di banchieri e di accademici amici dei banchieri. Può sembrare un paradosso, o l'esplicazione di una irriducibile distanza tra una visione estremistica e infantile e una più matura innervata di riformismo. E va detto che anche l'impostazione degli altri grandi partiti di sinistra, in Europa e in America, esprime una permanente ambivalenza nei confronti degli ambienti finanziari.
Ma la peculiarità della sinistra filobancaria italiana ha radici e conseguenze specifiche. Non è una novità. Già la sinistra storica, soprattutto durante la fase dominata dal suo esponente più significativo, Francesco Crispi, passò con grande disinvoltura dalla camicia rossa garibaldina ai traffici della Banca romana.
Alle banche, la cosiddetta “finanza laica”, cioè massonica, fu delegata la gestione dell'incameramento dei beni ecclesiastici, che avrebbe dovuto garantire i prestiti nazionali. Così i banchieri assunsero una sorta di funzione cardinale nella difesa dello stato monarchico, che sembra sia replicata ora anche in quello repubblicano. Le banche furono anche l'asse della rivolta extraparlamentare contro Giovanni Giolitti, che condusse all'entrata dell'Italia nella Prima guerra mondiale, tra gli applausi della sinistra moralista di Gaetano Salvemini, del confuso ceto intellettuale seguace di Gabriele D'Annunzio, per non parlare del socialista scissionista Benito Mussolini, appoggiato in quell'occasione da Antonio Gramsci e da Palmiro Togliatti, anch'essi interventisti.
Nel Dopoguerra la sinistra, esclusa dal governo dal 1947, mantenne una relazione speciale con settori e personalità della finanza, a cominciare da Raffaele Mattioli, favorito dal suo rapporto con l'economista Piero Sraffa, che era stato il tramite tra Gramsci e il partito clandestino durante la sua prigionia e anche il custode dei suoi scritti. Le vicende più recenti, dall'appoggio a Carlo Azeglio Ciampi a quello odierno a Mario Monti, si ricollegano senza soluzione di continuità a quelle più antiche. Alla base resta l'idea dirigistica, quella che anni fa proponeva nazionalizzazioni gestite dalle banche e ora pensa a privatizzazioni gestite sempre dalle banche, nell'illusione che un rapporto politico con gli uomini del potere finanziario possa conferire alla sinistra la capacità di delineare dall'alto una specie di controllo politico dell'economia, mentre in realtà si traduce regolarmente nel suo contrario, una pressione della finanza, internazionale e nazionale, sulla politica che finisce col ridurre lo spazio della politica fino a forme di sospensione della democrazia come quella di oggi. Con la solita benedizione di una sinistra priva di atonomia.


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