Democrazia autoritaria d'alto stile
L'Italia è ufficialmente un'espressione geografica, un paese in cui il problema del rendimento eccessivo dei titoli di stato, che non dipende da un debito insolvente ma dal “miserabile fallimento” del governo dell'euro (New York Times), si trasforma nella sospensione della democrazia politica. Invece di contrattaccare in Europa, formare un comitato parlamentare bipartisan di gestione degli affari correnti, e indire nuove elezioni per decidere il nostro destino, abbiamo intrapreso la solita danza delle lobby, distruggendo diciassette anni di maggioritario, di regole nuove, di potere democratico.
L'Italia è ufficialmente un'espressione geografica, un paese in cui il problema del rendimento eccessivo dei titoli di stato, che non dipende da un debito insolvente ma dal “miserabile fallimento” del governo dell'euro (New York Times), si trasforma nella sospensione della democrazia politica. Invece di contrattaccare in Europa, formare un comitato parlamentare bipartisan di gestione degli affari correnti, e indire nuove elezioni per decidere il nostro destino, abbiamo intrapreso la solita danza delle lobby, distruggendo diciassette anni di maggioritario, di regole nuove, di potere democratico.
Un governo eletto e mai sfiduciato, ma fatalmente indebolito, se ne va con un gesto di responsabilità. Folle di giovani illusi che in genere attaccano le banche a colpi di estintori festeggiano l'arrivo di un esecutivo amico dello spread (e che amico, visti i dati di ieri!). La tribuna giustizialista Repubblica festeggia “una democrazia d'alto stile”, i tromboni del lobbismo si preparano a contrattare vantaggi particolari mentre la loro sezione militante minaccia l'epurazione del berlusconismo. I capi di stato e di governo come Obama, Merkel e Sarkozy ci intimano perentoriamente di spicciarci a fare quello che hanno deciso loro, seguiti dalla muta dei giornalisti esteri insediati in Italia (i più corrivi del mondo). Ed è severamente vietato impegnarsi in quella perdita di tempo che sono le elezioni politiche per eleggere un governo deciso dai cittadini dopo un regolare conflitto tra ricette diverse per risolvere i problemi del paese (ingigantiti, enfatizzati nella solita logica apocalittica della Grande Emergenza).
“Nessuno è autorizzato a chiamarsi fuori”, scrive il giornalista collettivo. Noi ci chiamiamo fuori, con o senza il suo permesso. Non discuto le buone intenzioni di Napolitano, di Monti, di Berlusconi e di Bersani, che attualmente lavorano per questa soluzione che rinnega il sale della democrazia politica riconquistata dopo lo scioglimento manu giudiziaria della Repubblica dei partiti. Questo giornale è amico del presidente della Repubblica, ha sempre avuto ottimi rapporti con lo stimabilissimo professor Monti, chiama Berlusconi con l'affettuoso nomignolo di Cav. o Amor nostro e lo ha sostenuto per il meglio (mai per il peggio), ed è da sempre appassionato dell'idea di una sinistra capace di svolgere un ruolo di governo oltre le ideologie e le faziosità che la ammorbano. Potremmo essere insider di un nuovo sistema di convenienze legittimato dalla Grande Emergenza, e otterremmo i ringraziamenti del caso. Non lo facciamo e non lo faremo non già per eroismo, per libertà di spirito, ma per indipendenza di critica e di tono, perché crediamo che questa soluzione sia inaccettabile in linea di principio, e poi, visto che appoggiarsi ai principi non conviene troppo (Longanesi: se ti ci appoggi, i principi si piegano), siamo convinti che la strada intrapresa sia un vicolo cieco, sia ineffettuale, sia il contrario di un grande machiavello utile a sbrogliare una matassa diventata inestricabile.
Con un governo non eletto, l'Italia è fatalmente destinata a diventare un paese peggiore. Non siamo dei masanielli del quartierino, il nostro obiettivo non è mai stato quello di vendere copie, non facciamo direttamente politica. Ma che almeno una voce resti a disposizione di chi non la beve, questo è necessario. Una voce leale, capace di riconoscere le cose buone che in ipotesi si vorrebbero fatte, ma sicura del fatto suo nel dire, come noi diciamo oggi, che “la classe politica commissariata”, ovvero lo slogan scelto dalla Fondazione etica di Bazoli, Onida, Zaleski e altri galantuomini della galassia finanziaria lombarda, è una parola d'ordine da paese subnormale, da democrazia subtropicale, da golpe in guanti bianchi.
Non si può passare dall'anomalia berlusconiana, che ha portato alla grande riforma appena accantonata da Berlusconi in persona, alla anomalia della subnormalità. Siamo un grande paese, dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo fatto, errori compresi, e solo su questo orgoglio può fondarsi la correzione dei nostri vizi. Il nome di questo orgoglio, che è concetto non emozionale ma politico, è uno solo: elezioni subito, no a governi del presidente, no ai tecnici incaricati di commissariare la politica. Lo si può fare parlando forte e chiaro, sapendo di essere una minoranza, sapendo che le minoranze, quando non siano compiacenti e finte, in genere sono trattate con una certa intolleranza dalle maggioranze, specie le maggioranze raccogliticce che varano soluzioni pasticciate, come sta puntualmente accadendo con la trasformazione presunta, via consultazioni, di un governo tecnico in un ibrido esecutivo di larghe intese totalmente sradicato da ogni legittimazione popolare diretta. Ma non c'è altro che possiamo fare per i nostri lettori, per questa nazione, per la democrazia di basso stile elettorale nella quale crediamo, chiunque vinca.


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