Quella sinistra che abdicò a essere classe dirigente e ora detesta Renzi
Non è nuovo, a sinistra, il tentativo di rottamare una classe dirigente della sinistra. Ben prima della Leopolda, e con ben diversa incandescenza, i movimenti degli anni Settanta affilarono le loro contestazioni anche contro i leader del Pci, bersagliandoli con slogan beffardi o feroci. Non soltanto perché li giudicavano scarsamente rivoluzionari, ma soprattutto perché le loro culture e i loro linguaggi apparivano inadeguati, di fronte ai nuovi assetti sociali e alle nuove aspirazioni di consistenti minoranze giovanili.
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Non è nuovo, a sinistra, il tentativo di rottamare una classe dirigente della sinistra. Ben prima della Leopolda, e con ben diversa incandescenza, i movimenti degli anni Settanta affilarono le loro contestazioni anche contro i leader del Pci, bersagliandoli con slogan beffardi o feroci. Non soltanto perché li giudicavano scarsamente rivoluzionari, ma soprattutto perché le loro culture e i loro linguaggi apparivano inadeguati, di fronte ai nuovi assetti sociali e alle nuove aspirazioni di consistenti minoranze giovanili.
Sappiamo che quel progetto andò a finire malissimo. La protesta in parte si estremizzò nell'utopia, in parte s'incrudelì nel terrorismo, in parte sprofondò nel disimpegno o nell'estremo “distacco” della droga. Perché non ebbe scampo, quella sfida antagonista? Secondo me, fra le molte cause, c'è una parola-chiave: abdicazione. I ribelli dell'epoca, in gran parte borghesi, scelsero un percorso mimetico, rifiutarono di gareggiare per imporsi come classe dirigente. Molti di loro si camuffarono da proletari o addirittura da lumpenproletari, ritenendo che, spogliandosi dei loro privilegi, avrebbero assimilato correttamente e fraternamente i problemi della condizione operaia.
Così parecchi giovanotti rinunciarono alle sudate carte per condividere il sudore della fabbrica. Ricordo quando, nel raffinato salotto di un senatore socialista, irruppe un ragazzone in pantaloncini e camiciotto. Noi pensammo che fosse il giardiniere, invece era il figlio del padrone di casa, operaio in fonderia e coerentemente travestito. Era utile alla Causa, quell'abdicazione? Secondo me, no. E a che cosa serviva l'atteggiamento di alcuni pittori che incominciarono a vergognarsi dell'arte loro, giudicata frivola/borghese, e stabilirono che l'unico compito dell'artista fosse quello di dipingere falci e martelli sui muri? Sembra incredibile, ma questo avvenne davvero. Un po' migliore (soltanto un po') fu la scelta di coloro che si sentirono costretti a regalare i loro quadri ai marxleninisti nostrani, per finanziare la Grande Rivoluzione.
L'estremo paradosso fu rappresentato (all'inizio degli anni Settanta) dalla sorte di un documento di Sesto San Giovanni. Gli operai avevano compilato una lista degli infortuni sul lavoro nelle loro fabbriche, e l'avevano trasmessa ai compagni docenti universitari. Ma costoro, invece di elaborare (studiare, approfondire, denunciare) il problema, si limitarono a complimentarsi e a proporre il documento come corso d'esame, senza commenti. Gli operai si arrabbiarono moltissimo. E, in un'assemblea, i delusi inveirono: “Ma allora che ci stanno a fare, quelli?”. Domanda ingenua. Il presidente Mao lo aveva detto: “Gli intellettuali devono imparare dagli operai”. I lavoratori di Sesto, invece, chiedevano agli intellettuali di fare il loro mestiere, cioè di usare le loro competenze per aiutarli.
In seguito, alcuni extraparlamentari conquistarono posizioni di rilievo nella società, ma avanzarono in ordine sparso, rinunciando a costruire insieme una diversa cultura per una nuova sinistra di governo. Matteo Renzi e i rottamatori del Big Bang non corrono questo rischio, perché hanno intenzione di sostituire la loro attuale classe dirigente, dopo averla disarcionata. Non sarà facile. La controffensiva delle casematte è già scattata. Il coro militante della sinistra ufficiale sbeffeggia Renzi per il suo linguaggio estraneo, e lo svergogna come boy scout, democristiano, destrorso o (addirittura) berlusclone. Spunta l'alba, canta il gallo, ma l'Apparato non molla il cavallo.
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