La petulante Emma e il capitalismo che non esiste
La presidente di Confindustria si comporta in modo fastidiosamente petulante. Emma Marcegaglia non doveva fare quel mestiere. Lo dicemmo a suo tempo in questo giornale, d'accordo con fior di imprenditori. Ci voleva qualcuno che fosse anima dell'imprenditoria, non una faccia buona solo per la rappresentanza. Confindustria non ha bisogno di un portavoce o di un pr politico. Non ha bisogno di un giornale politico. Non ha bisogno di fare editoria governativa o antigovernativa.
La presidente di Confindustria si comporta in modo fastidiosamente petulante. Emma Marcegaglia non doveva fare quel mestiere. Lo dicemmo a suo tempo in questo giornale, d'accordo con fior di imprenditori. Ci voleva qualcuno che fosse anima dell'imprenditoria, non una faccia buona solo per la rappresentanza. Confindustria non ha bisogno di un portavoce o di un pr politico. Non ha bisogno di un giornale politico. Non ha bisogno di fare editoria governativa o antigovernativa. Quello serviva per il suo vecchio mestiere concertativo, per negoziare vantaggi fiscali e pace sociale a buon mercato, in cambio di una logica di bassi investimenti, bassi salari, bassa innovazione, bassi consumi popolari. Anche i trentenni del Pd, con il loro coraggioso manifesto da noi pubblicato, hanno capito che di questa roba qui si muore, che la mobilità sociale, il riscatto delle posizioni precarie, la ricchezza dei nuovi modi di lavorare e produrre, tutto questo non si può ottenere con l'immobilismo conservatore travestito, pavesato e imbandierato nelle sfilate di Cgil e Fiom, e magari dai convegnucci del blocco corporativo tenuti insieme con il padrone dalla Camusso.
Da tempo il problema dell'impresa in Italia è la libertà nei rapporti sindacali, e dallo stato l'impresa deve pretendere lo stimolo alla concorrenza che aiuta le ristrutturazioni virtuose, elimina le sacche di inerzia, spinge alla competizione secondo le sue regole di mercato e di società aperta. I giovani imprenditori riuniti a Capri non meritavano la solita lezioncina politica, il solito europeismo dottrinale, le solite tiritere di questa donna mite, gentile, anche simpatica, ma totalmente inefficace nel ruolo che si è scelto per la solita vanità e per la solita frivola attitudine alla scena politica, che prende come una malattia anche la gente che dovrebbe guardarsi dalla politica, limitare la politica, scongiurare un mondo di regole, per di più astratte, lontane, eurocratiche, e un'Italia in cui tutto si contratta a tavola, e apriamo un tavolo, mettiamo insieme un tavolo, vediamoci con le parti sociali e via dicendo. Ci vorrebbe un Ugo La Malfa o un Angelo Costa dell'impresa, altro che la Marcegaglia. Una cultura della rottura capitalistica, ci vorrebbe, altro che una blanda negoziazione di impercettibili vantaggi e cunei.
A Capri ci voleva un Amendola degli industriali, e come il vecchio e generoso dirigente del movimento operaio strattonava gli operai dell'industria e li induceva a non dire menzogne sui loro salari e sulle loro difese corporative, già tanti anni fa spacciate come conquista di diritti e pietrificazione di rapporti di classe, così ci vorrà un imprenditore capace e senza paura il quale imbracci e dia in testa ai colleghi il rapporto Gallo, il documento presentato all'Istituto Sant'Anna di Pisa in cui è dimostrato che gli industriali italiani sono imbattibili nel gioco dei dividendi agli azionisti, nella patrimonializzazione dei profitti, ma sono ampiamente battuti da quasi tutti i loro colleghi europei e americani nel vero gioco del capitalismo, che è quello di investire e di crescere. La crisi da indebitamento per l'impresa italiana non esiste: esiste invece la crisi da tirchieria sociale, da espansione insufficiente, da timidezza nell'affrontare nuovi mercati, da scarso sviluppo legato al risparmio, anche al di là dei mezzi di autofinanziamento che non sono pochi, e vanno quasi tutti nel forziere di famiglia.
Una volta c'erano i giovani leoni raccontati da Giorgio Bocca, c'era un paese che voleva fare e guadagnare per irrobustire la sua intelaiatura sociale, per dare all'impresa un potere di indirizzo effettivo che non aveva mai avuto nel chiuso dell'economia fascista autarchica. Gli imprenditori degni del nome sfidavano i partiti cambiando l'Italia, ora non li invitano ai convegni per scimmiottare l'antipolitica di Beppe Grillo. Il decreto sviluppo è decisivo, ma la rivoluzione italiana passa da qui, dalla distruzione delle mostruosità di pigrizia corporativa addensatesi intorno alla galassia di Confindustria, una generazione intera di produttori ridotta a una logica di autoconsumo. Parlare senza petulanza, dire la verità, fare, invece di chiacchierare come una lobby di impotenti, ricchi e costosi funzionari di un capitalismo che non esiste.


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