Natale tutti a casa

Capito il trucco? L'Amministrazione Obama sta chiedendo da mesi al governo di Baghdad di poter restare in Iraq con un numero imprecisato di truppe in almeno quattro grandi basi, numero che secondo indiscrezioni non doveva essere inferiore a sedicimila. Tutte le fonti del Pentagono che contano, dai generali al segretario alla Difesa, hanno detto più volte che “tenere un piede in Iraq ci farebbe comodo”. Il paese è in una regione strategica, da dove – ma soltanto per cominciare – si può fare pressione all'Iran. Per questo la Casa Bianca ha negoziato, come confermato dal ministro degli Esteri iracheno, con toni che secondo gli osservatori si sono fatti sempre più “disperati”, ma che non sono mai stati notati dai grandi media. E' stato persino raggiunto un enorme contratto per la cessione di 16 caccia F-15, è stata costruita l'ambasciata fortificata più grande del mondo, e tra poco il dipartimento di stato in Iraq assomiglierà a un piccolo esercito (di contractor) con elicotteri, blindati e cinquemila guardie. Ma è tutto stato vano.

Baghdad ha dovuto cedere alle pressioni di Moqtada al Sadr, che considera “invasione” qualsiasi presenza militare americana, “anche se si tratta di istruttori”. Vista la mala parata, Obama ha sfruttato la batosta e ieri ha annunciato che: “Come promesso, il resto delle nostre truppe in Iraq sarà a casa entrola fine dell'anno. Dopo nove anni la guerra americana in Iraq è finita”. Non dice che la data del ritiro non è stata fissata da lui, ma dal predecessore Bush, durante la famosa “visita della scarpata” in cui il giornalista iracheno gridò: “Ya kalb”, cane, al presidente. Sia detto così: per mettere il quadro più a fuoco.