Au revoir Marcegaglia
Comincia l'esodo delle aziende da una bolsa Confindustria politica
L'edificio tiene o scricchiola? Il proprietario garantisce che tiene, gli inquilini dicono che scricchiola. Nel mentre si cerca di rispondere alla domanda, due inquilini l'hanno già abbandonato: lunedì la Fiat, ieri le Cartiere Pigna, oggi il gruppo Gallozzi. Infatti Confindustria ha dovuto registrare la defezione delle Cartiere Paolo Pigna, premiata ditta che partecipa alle sorti di Confindustria fin dalla sua nascita, come ha sottolineato ieri il suo amministratore Giorgio Jannone.
Leggi Confindustria isolata - Leggi Fiat, un partito rivoluzionario - Guarda la puntata di Qui Radio Londra Viva Marchionne, il bolscevico - Leggi la lettera di Marchionne a Emma Marcegaglia - Leggi Tutti fuori dai sindacati
L'edificio tiene o scricchiola? Il proprietario garantisce che tiene, gli inquilini dicono che scricchiola. Nel mentre si cerca di rispondere alla domanda, due inquilini l'hanno già abbandonato: lunedì la Fiat, ieri le Cartiere Pigna, oggi il gruppo Gallozzi. Infatti Confindustria ha dovuto registrare la defezione delle Cartiere Paolo Pigna, premiata ditta che partecipa alle sorti di Confindustria fin dalla sua nascita, come ha sottolineato ieri il suo amministratore Giorgio Jannone, manager e parlamentare del Pdl, bergamasco come Alberto Bombassei, il vice presidente con la delega alle relazioni di Viale dell'Astronomia. Un addio dal sapore politico, senza le giustificazioni tecnico-giuridiche della lettera Fiat. “Confindustria – ha spiegato Jannone – deve rappresentare tutti gli iscritti, senza assumere posizioni marcatamente politiche, e senza porre ultimatum al governo”. E così, cara Emma, chi di politica vuol ferire, ne pagherà il prezzo a suon di quattrini: “Dal primo gennaio 2012 – ha scritto Jannone – non parteciperemo più a Confindustria, la cui iscrizione, tra l'altro, rappresenta un onere per tutte le imprese italiane non indifferente, essendo parametrata sul monte salari. Quando si parla di costi e di tagli, forse è bene farlo per primi in casa propria, anche nel mondo delle associazioni”.
L'affondo di Jannone colpisce là dove il dente duole. Nonostante i proclami di riforma, la Confindustria è ancora un mastodonte che ingoia più di 560 milioni all'anno. All'apparenza i 5 milioni annui di Fiat (ma c'è chi parla di 8/9 milioni) sono poca cosa: ma cosa accadrà nel caso che l'esempio della casa del Lingotto faccia scuola, per convenienza economica o dissenso politico poco importa? Per Guidalberto Guidi, già vicepresidente di Confindustria, una vita nella squadra di testa degli industriali elettrici e della confederazione, non ci sono dubbi: le disdette a Confindustria pioveranno. “Tutto il mondo della componentistica dell'auto, anzi tutta la metalmeccanica, io penso che sia impossibile pensare a un contratto Fiat e a un contratto ‘resto del mondo'. Lo ritengo insensato”. Guidi, papà di Federica, ex leader dei Giovani industriali, non è tenero con Marcegaglia.
“Le ultime prese di posizione della presidente mi sembrano bizzarre – ha detto Guidi nel corso della ‘Telefonata a Belpietro' su Canale 5 – Che vuol dire: se non accettano le nostre proposte rompiamo con il governo? O la presidente Marcegaglia sa che questo governo andrà a casa tra poche ore, oppure mettiamo in cassa integrazione anche Confindustria perché se non tratta con il governo non so che cosa ci stia a fare”. La Cassa per Viale dell'Astronomia è qualcosa di più di un'immagine suggestiva. Che potrebbe trasformarsi in realtà presto se il ministro dell'Economia Giulio Tremonti seguisse i consigli dei parlamentari della Lega nord, Paolo Franco e Maurizio Fugatti, che chiedono l'uscita delle aziende di stato da una Confindustria che “ha ceduto all'industria della politica piuttosto che alla politica industriale”. Alla fine del 2010 già due multinazionali come Ibm e Fujitsu avevano lasciato per protesta Assinform, l'associazione confindustriale di Ict; ma senza Eni o Enel, piuttosto che le Ferrovie o le Poste, i conti non tornerebbero di sicuro. E in queste ore c'è chi dice che qualche telefonata ai manager dei colossi statali sia partita da recapiti governativi. Ma è vero anche l'inverso: che senso hanno gli ultimatum della Marcegaglia al principale azionista dei suoi associati, ovvero l'esecutivo? Di sicuro, queste domande non toccano Marchionne, oggi alle prese con i sindacati. Non con Raffaele Bonanni della Cisl che non lo capisce più tanto, bensì con Bob King, il leader dell'Uaw che sembra aver capito fin troppo bene l'anima da mercante del leader di Fiat. Il sindacalista americano ha preferito firmare con Gm e poi ieri con Ford prima di affrontare il tavolo con Marchionne che chiede uno sconto rispetto alle sorelle di Detroit: 3.500 dollari di bonus e non 5 mila.
Per ora in Piemonte la Torino dell'auto tace, anche perché i manager, nonostante la crisi, viaggiano dalla Serbia al Messico dietro ai piani Fiat. Certo, le multinazionali dell'auto insediate sul territorio, dalla tedesca Webasto guidata da Mario Ferrari alla Johnson Controls di Marzio Raveggi, non hanno lesinato in passato apprezzamenti alla linea Marchionne. Non è quindi difficile prevedere che loro, così come la stragrande maggioranza delle aziende della componentistica, vedano con piacere la prospettiva di un contratto dell'auto più leggero nelle clausole e più contrattato sul territorio che al centro. Un contratto meno costoso, magari sfruttando strutture già esistenti (l'Anfia, ad esempio) o appaltando parte dei servizi alla stessa Unione Industriali Torino, l'unica parzialmente salvata dalla gragnola di critiche giunte a Confindustria dal Lingotto: del resto il presidente Gianfranco Carbonato è considerato vicino alla Fiat.
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