Cose che neanche con Cossiga
Per il Pd cercare un Dino Grandi al Quirinale è da analfabeti costituzionali
Prima Antonio Di Pietro, poi Eugenio Scalfari domenica scorsa su Repubblica. Due personalità apparentemente lontane, uno stesso appello accoratissimo: Napolitano, liberaci tu da Berlusconi. Al Quirinale si chiede un messaggio rivolto al Parlamento, una destituzione di Silvio Berlusconi per via presidenziale. Il Pdl respinge la proposta “paragolpista” dell'ex pm manettaro e del Fondatore di Rep. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto fa spallucce: “Napolitano è un galantuomo, piantato come un chiodo nella Costituzione”.
Prima Antonio Di Pietro, poi Eugenio Scalfari domenica scorsa su Repubblica. Due personalità apparentemente lontane, uno stesso appello accoratissimo: Napolitano, liberaci tu da Berlusconi. Al Quirinale si chiede un messaggio rivolto al Parlamento, una destituzione di Silvio Berlusconi per via presidenziale. Il Pdl respinge la proposta “paragolpista” dell'ex pm manettaro e del Fondatore di Rep. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto fa spallucce: “Napolitano è un galantuomo, piantato come un chiodo nella Costituzione”. Ma è nel Pd che si registrano le prese di distanza più forti nei confronti di Scalfari e Di Pietro. Dice al Foglio il costituzionalista e Senatore del Pd Stefano Ceccanti: “Ai tempi di Francesco Cossiga il giornale di Scalfari sostenne con forza la linea dell'impeachment. Dicevano che il presidente stava esondando dalle sue prerogative costituzionali. Repubblica fu determinante a orientare su questa linea anche Achille Occhetto. Oggi pretendono da Napolitano una mossa più hard di quanto non sia mai stato preteso da Cossiga, chiedono al presidente di sostituirsi al Parlamento. Questa non è una repubblica presidenziale e non si può decidere di essere presidenzialisti o parlamentaristi a seconda di come ci conviene di più. Di Pietro e Repubblica non sono il Pd”.
“Presidente, pensaci tu”. Prima Antonio Di Pietro, poi, domenica scorsa, su Repubblica, anche Eugenio Scalfari. Una sola richiesta, dai toni non eccessivamente sfumati: sia Giorgio Napolitano a liberarci da Silvio Berlusconi. Ma se Di Pietro non è nuovo a forzature di questo tipo, che forse non infastidiscono più nemmeno il Quirinale (che si è abituato), lo stesso non si può dire di Scalfari e di Repubblica che mai prima di domenica scorsa si erano spinti così esplicitamente a sostenere che debba essere il capo dello stato “con un suo messaggio al Parlamento” a intimare al premier di farsi da parte.
Un'idea che nel Pdl qualcuno definisce “para golpista”, mentre altri, come il capogruppo Fabrizio Cicchitto, preferiscono circoscrivere alla categoria delle “illusioni” di una sinistra moralista e illiberale. Fa spallucce Cicchitto, che da tempo dice: “Scalfari può scrivere quello che vuole, ma Napolitano è un presidente piantato come un chiodo nella Costituzione, rispettoso della Carta, un galantuomo”. E il vicecapogruppo al Senato, Gaetano Quagliariello, aggiunge, con un tono di disincanto: “Vorrei dire a Scalfari che non è nemmeno necessario fare pressioni inopportune sul Quirinale, perché la maggioranza voluta dagli italiani con il voto democratico è già sottoposta all'assalto illegale delle intercettazioni e di una sentenza di condanna per il premier fortissimamente voluta nel dispregio del diritto”.
Di Eugenio Scalfari e del suo invito rivolto al Quirinale ha scritto anche Emanuele Macaluso, sul Riformista. Il vecchio amico del presidente Napolitano ha definito quella di Scalfari “una insensatezza che registra l'impotenza politica dell'opposizione”.
Non è certo quello che pensa Di Pietro, al quale l'editoriale domenicale del fondatore di Repubblica è al contrario (almeno per una volta) piaciuto molto. Ma quella di Macaluso è un'inclinazione diffusa anche in alcuni settori del Partito democratico che infatti nel suo complesso ha registrato l'editoriale del “Fondatore” con molti silenzi e qualche imbarazzo. “Quella non è la linea del centrosinistra, non è la linea del Pd”, dice il senatore Stefano Ceccanti, costituzionalista vicino a Walter Veltroni e spesso in sintonia con il Quirinale: “Queste sono cose che sostiene Scalfari, che dice Di Pietro, ma non il Pd”. Insiste Ceccanti: “Il governo è espressione di una maggioranza parlamentare e solo in Parlamento, o nelle urne, si stabilisce chi governa e chi fa l'opposizione. Quanto a Repubblica, mi ricordo quando fece la campagna per chiedere l'impeachment di Cossiga. Sostenevano che il presidente stesse esagerando, che stesse esondando dalle sue prerogative costituzionali. Adesso Repubblica chiede a Napolitano un intervento persino più hard di quegli atteggiamenti che stigmatizzava in Cossiga. Insomma, non si può essere presidenzialisti o parlamentaristi a seconda di come conviene di più”.
Ed è quello che pensa anche Enrico Morando, riformista ex diessino, membro della minoranza del Pd. Dice il senatore: “Dev'essere il Pdl a mandare via Berlusconi, come i conservatori inglesi fecero passando, peraltro con successo, dalla Thatcher a Major. Non spetta certo al presidente della Repubblica, che è una risorsa di questo paese e che certamente, ligio com'è al dettato costituzionale, non ci pensa nemmeno a esercitare prerogative che non gli competono. Cercare di trascinarlo nell'agone rozzo della contrapposizione sarebbe un ulteriore danno per la nostra politica, che già non gode di buona salute. Anziché invocare Napolitano, sarebbe auspicabile che la maggioranza e l'opposizione riuscissero a fare meglio il loro mestiere. Senza cercare scorciatoie improponibili”.


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