Prescritto o proscritto?

Redazione

La sentenza con la quale il giudice per le indagini preliminari di Monza Anna Magelli ha respinto la richiesta di carcere preventivo per Filippo Penati avanzata dalla procura ha un apprezzabile contenuto garantista. Non c'erano prove per il reato più grave tra quelli contestati, la concussione, e quindi il giudice ha applicato i termini di prescrizione a quello di corruzione, che risulta estinto. Ci sarà una coda al tribunale del Riesame, cui si è appellata la procura, il quale dovrebbe valutare in via di diritto se gli indizi giustificano o meno il declassamento del reato da concussione a corruzione.

    La sentenza con la quale il giudice per le indagini preliminari di Monza Anna Magelli ha respinto la richiesta di carcere preventivo per Filippo Penati avanzata dalla procura ha un apprezzabile contenuto garantista. Non c'erano prove per il reato più grave tra quelli contestati, la concussione, e quindi il giudice ha applicato i termini di prescrizione a quello di corruzione, che risulta estinto. Ci sarà una coda al tribunale del Riesame, cui si è appellata la procura, il quale dovrebbe valutare in via di diritto se gli indizi giustificano o meno il declassamento del reato da concussione a corruzione. Però il gip monzese non si è limitato a derubricare il reato e quindi a constatarne la prescrizione, ma ha voluto entrare nel merito, scrivendo nel dispositivo che “gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari dimostrano l'esistenza di numerosi e gravissimi fatti di corruzione posti in essere da Filippo Penati” e da altri indagati. Se un reato è estinto per prescrizione, non si capisce perché si debba emettere una specie di sentenza virtuale su di essi, pronunciata peraltro in assenza di contraddittorio appunto perché su quel reato non si può procedere.

    Sembra che il tribunale di Monza, avendo avuto il coraggio di contraddire la procura, abbia voluto darle un contentino verbale. Inoltre ha accettato la richiesta di arresto per l'ex assessore Pasqualino Di Leva e l'architetto Marco Magni, per i quali non è chiaro quali siano le esigenze cautelari, visto che non ricoprono più incarichi, quindi non possono né reiterare il reato né inquinare le prove. Sembra che, per farsi “perdonare” un atteggiamento garantista, un magistrato debba accompagnarlo con parole e atti discutibili per compiacere, almeno con quelli, le onnipotenti procure. Quella che in sostanza è un'affermazione dello stato di diritto è stata dunque offuscata da questi atti accessori e non necessari che tradiscono, se non una subalternità verso le correnti chiodate d'una certa (e nota) cultura mediatico-giudiziaria, per lo meno uno spiacevole imbarazzo.