Il Pupo e il Secchione. Perché Totti e Luis Enrique non possono coabitare
Da scompisciarsi. Ma davvero qualcuno pensava che potessero convivere più di mezza giornata nella stessa gabbia un asceta tutto osso, sudore e Asturie come Luis Enrique e una languida divinità dai fianchi matronali come il Francesco Totti nostro da Porta Metronia? Un ossesso in continuo movimento devoto a Coelho (il peggior scrittore dell'ultimo mezzo secolo e mi tengo basso) e un'icona sazia e immobile, che nelle librerie ci va casomai da barzellettiere?
Da scompisciarsi. Ma davvero qualcuno pensava che potessero convivere più di mezza giornata nella stessa gabbia un asceta tutto osso, sudore e Asturie come Luis Enrique e una languida divinità dai fianchi matronali come il Francesco Totti nostro da Porta Metronia? Un ossesso in continuo movimento devoto a Coelho (il peggior scrittore dell'ultimo mezzo secolo e mi tengo basso) e un'icona sazia e immobile, che nelle librerie ci va casomai da barzellettiere? Due fatti apposta per non intendersi. Il Totti di oggi, si capisce, e l'Enrique che non è ancora quello di domani. Perché il Totti di ieri, il ventenne non ancora ammosciato da quindici anni d'idolatria, di spot e di Costanzo, si lasciava, eccome, sventrare dallo Zeman di allora.
Dove sta dunque l'errore? Un po' ovunque. C'è la scelta dell'imbarazzo. La casa giallorossa di questi tempi brucia per un'addizione stereoscopica di errori. Storia fascinosissima da raccontare e confinata, che spreco, nelle gazzette sportive dove la pagliuzza conta più della trave. Più che un cantiere, la Roma di oggi è un canovaccio molto sofisticato, alla Lubitsch. Un caos di porte girevoli, di equivoci, fughe, arrivi, abiti galanti e stracci, sorrisi e perfidie, gente che va e gente che viene, persone che s'incrociano, si prendono e si mollano, fingono di comunicare e persino di capirsi, senza un vero perché. Irresistibile, nell'insieme.
L'americano alias marziano a Roma che più attonito non si può (tutto somatizzato da quel tic labiale del coniglio che sospetta d'essere finito in trappola ma non ha ancora capito bene quale), il bancario più attonito dell'americano, l'asceta tutto d'un pezzo, il dirigente fantasma (che da Londra sorveglia anche un po' schifato la suburra di Trigoria e si concede solo se alla porta bussa la Dandini o l'inviata del giornale che più cool non si può) e quello onnipresente, ragazzini promossi a campioni e campioni retrocessi a schiappe, a cominciare dall'Amatissimo. Che l'altra sera, all'Olimpico, più che rimpiazzato è sembrato stuprato. Lui e una città intera.
La sensazione? Che tutto questo entusiasmante casino porterà a una grandezza assoluta o a uno sfascio altrettanto assoluto e dunque in ogni caso grandioso. Niente vie di mezzo. I due di troppo in locandina, forse, sono proprio i duellanti di oggi, Enrique e Totti. Identità troppo scolpite che fanno da tappo a questa fluidità anche torbida ma necessaria della Roma che pretende di cambiare pelle e rigenerarsi dopo i disastri non ancora conclamati delle donne Sensi. Il primo ha scambiato la Roma per una sua trincea privata, il luogo della sua Santa Iniziazione come allenatore, l'altro ne ha fatto la sua confortevole e dico anche un po' svogliata cuccia (così magari ci scappa un'altra baraonda). Sostenuto l'asturiano dai dirigenti che lo hanno scelto offuscati dall'ideologia, il romano da un esercito di templari, irriducibili e permalosi, offuscati dalla fede. Dovranno mediare, se vorranno campare.
Alla fine, l'unico, vero, insostituibile fuoriclasse di questa impresa che rischia Brancaleone ma, ancora di più, rischia la gloria del pallone ha la faccia fumante ma non fumogena di Walter Sabatini. Una faccia in sordina. Scavata fuori perché addizionata dentro. In tutti i film di Clint Eastwood c'è uno come lui, fateci caso, che sia un pistolero stanco o un vecchio cuore in pensione. Lui sì titanico ma duttile, Sabatini, solo contro tutti e spesso anche contro se stesso, capace di pescare sempre la parola giusta, mai banale, quanto più la situazione è grave o greve. In attesa che si degni di scendere nella mischia il fantasma di Londra. Che sarà anche Londra, ma resterà sempre Reggello, dove citare Shakespeare in originale è la scorciatoia maestra per farsi accettare nella capitale. Ragazzo intelligente Franco Baldini. Si farà. In ogni caso, giuro, ne vedremo delle belle.


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