Primo leader arabo a processo

“Egitto vs Mubarak”. L'ex rais in aula per la grandiosa resa dei conti

Giulio Meotti

“Caso numero 3.642 – La Repubblica araba d'Egitto contro Hosni Mubarak”. E' il nome tecnico del primo processo della storia a un presidente arabo. A differenza dell'ex capo di stato tunisino Ben Ali, fuggito in Arabia Saudita, Mubarak aveva promesso che sarebbe morto sul suolo egiziano. Ieri l'ex generale e rais è apparso in barella, pallido e sconfitto, nell'aula-bunker del Cairo, accusato di omicidio, corruzione per alcuni progetti immobiliari a Sharm el Sheikh e per la vendita di gas a Israele.

    “Caso numero 3.642 – La Repubblica araba d'Egitto contro Hosni Mubarak”. E' il nome tecnico del primo processo della storia a un presidente arabo. A differenza dell'ex capo di stato tunisino Ben Ali, fuggito in Arabia Saudita, Mubarak aveva promesso che sarebbe morto sul suolo egiziano. Ieri l'ex generale e rais è apparso in barella, pallido e sconfitto, nell'aula-bunker del Cairo, accusato di omicidio, corruzione per alcuni progetti immobiliari a Sharm el Sheikh e per la vendita di gas a Israele. La pubblica accusa ha detto che Mubarak ha “ordinato” l'uccisione di 850 manifestanti. L'ex presidente ha respinto ogni accusa e tra i testi chiamati ci sarà Mohammed Tantawi, numero uno del Supremo consiglio delle Forze armate che ha preso il potere con la caduta del regime. Secondo Mubarak è il responsabile della repressione, poiché dal 28 gennaio di fatto è divenuto leader del paese.
    I maggiori giornali egiziani hanno titolato sul “processo del secolo” (al Akhbar), sulla “resa dei conti” (al Masry al Youm) e sul “giorno memorabile” (al Ahram), perché “per la prima volta nella sua storia viene processato un presidente egiziano”. “I faraoni hanno costruito le piramidi, ma non sono stati processati in tv”, ha detto ironico Steven Cook del Council on Foreign Relations. C'è chi ha paragonato il processo, aggiornato al 15 agosto, a un “musalsalat”, i serial tv trasmessi nel Ramadan. Il procuratore ha annunciato che Mubarak deve rispondere anche di “tutte le violenze” commesse tra il 2000 e il 2010, non solo a piazza Tahrir.

    Quest'ultima accusa lascia intendere il ruolo decisivo giocato nel processo dai Fratelli musulmani, principali vittime del regime speciale di Mubarak. “Allah akhbar” (Dio è grande) ha gridato la folla di fronte ai mega schermi che trasmettevano le immagini di Mubarak e figli, vestiti con la tuta bianca dei detenuti. Sessanta i feriti negli scontri fra sostenitori e oppositori di Mubarak. Il processo si svolge nell'accademia di polizia da cui due giorni prima delle proteste (il 25 gennaio scorso) Mubarak aveva lodato i gendarmi nel garantire la sicurezza. Si chiamava “Mubarak Police Academy”, ma nome e cognome sono stati cancellati.

    Domenica l'ex presidente Mubarak era stato condannato a morte in effigie a Qena, durante un processo organizzato da un gruppo di avvocati e islamisti. Ieri fuori dal tribunale i familiari delle vittime hanno alzato cartelli che chiedono la pena di morte: “Il sangue si lava col sangue”. Cinquemila militari e cinquanta carri armati hanno garantito la sicurezza. “Una lezione per gli autocrati”, ha detto il portavoce dei Fratelli musulmani, Essam el Erian, che avevano chiesto una gogna pubblica.

    Da Israele l'ex ministro Benjamin Ben-Eliezer ha rivelato che durante la protesta Gerusalemme aveva offerto asilo a Mubarak: “Io e Bibi (il premier israeliano Netanyahu, ndr) abbiamo incontrato Mubarak a Sharm el Sheikh, gli ho detto che la distanza tra Sharm el Sheikh ed Eilat era poca e che sarebbe stata una buona opportunità per curarsi. Israele lo avrebbe accolto, ma Mubarak è un grande patriota e ha rifiutato”. Mubarak dovrà rispondere in aula della “Peace Pipeline”, il gasdotto della pace con cui il Cairo vende gas a Israele e che è già stato bombardato cinque volte in sei mesi. “Gli israeliani hanno pagato il triplo”, ha detto Mubarak alla procura. Il ministro della Giustizia, Mohammed al Guindi, dice che gran parte della ricchezza di Mubarak deriva dall'accordo con Israele, una delle decisioni più controverse, tanto che non era stato mai approvato dal Parlamento egiziano. A mediare per il contratto fu un amico dell'ex rais, Hussein Salem, ieri contumace ma giudicato in aula assieme a Mubarak. L'accordo fra il Cairo e Gerusalemme era stato il primo di questo tipo dalla pace di Camp David che costò la vita ad Anwar al Sadat. L'Egitto si impegnava, in cambio del ritiro israeliano dal Sinai, a vendere combustibile a Gerusalemme, un patto mai violato neppure durante l'invasione del Libano del 1982, quando i regimi arabi accusarono Mubarak di “fare il pieno” ai carri armati israeliani. 

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.