Origini, cultura, strategie e risultati del nuovo movimentismo Fiom

Nunzia Penelope

Il sindacato può essere un movimento? Assolutamente no, secondo Susanna Camusso, segretario generale della Cgil; assolutamente sì, invece, per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, che negli ultimi mesi sembra intenzionato a condurre la sigla dei metalmeccanici in un territorio più vasto rispetto a quello in cui tradizionalmente si muove un'organizzazione sindacale di categoria.

    Accolto il ricorso Fiat sul caso di Melfi. Il giudice del lavoro ha accolto il ricorso presentato dalla Fiat contro il reintegro di tre operai (due dei quali delegati Fiom) dello stabilimento di Melfi (Potenza), che, nel 2010, avevano sabotato la produzione.

    Il sindacato può essere un movimento? Assolutamente no, secondo Susanna Camusso, segretario generale della Cgil; assolutamente sì, invece, per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, che negli ultimi mesi sembra intenzionato a condurre la sigla dei metalmeccanici in un territorio più vasto rispetto a quello in cui tradizionalmente si muove un'organizzazione sindacale di categoria. In questo mondo praticamente inesplorato rientra anche il ricorso alle vie giudiziarie per dirimere le controversie sul lavoro, che però ieri ha subito uno stop con la decisione del giudice del lavoro di Melfi di accogliere il ricorso della Fiat contro il reintegro di tre operai (dei quali due delegati Fiom) licenziati nell'estate 2010 con l'accusa di sabotaggio. E poi c'è il movimentismo odierno della Fiom, che ha un inizio lontano nel tempo, vecchio di almeno dieci anni: era infatti il luglio del 2001 quando l'allora leader della Fiom, Claudio Sabattini, schierò le tute blu con i no global al G8 di Genova. L'iniziativa non fu un successo, il G8 si trasformò nel noto bagno di sangue, i delegati della Fiom lo evitarono grazie allo stesso Sabattini che fiutò il pericolo e li riportò a casa prima che la situazione degenerasse. Per molti anni, di “movimento” non si parlò più. Oggi, con Landini, le cose vanno diversamente. Parlare di un sindacato in termini di marketing può sembrare una forzatura, ma è a questo che occorre riferirsi per definire ciò che attualmente rappresenta la Fiom: un brand di successo. Una categoria che fino a non molto tempo fa veniva definita “residuale'', e che all'ultimo congresso della Cgil ha registrato una sonora sconfitta, improvvisamente riesce a catturare interesse, fungendo da calamita per altri brand di successo: da Michele Santoro a Roberto Benigni, da magistrati come Antonio Ingroia e Antonio Laudati, a nuovi politici come Giuliano Pisapia, attorno alle vecchie tute blu si sta creando un agglomerato all star che va al di là della rappresentanza sindacale.

    Secondo alcuni osservatori, la categoria
    più antica del sindacato è diventata una realtà emergente perché, meglio della stessa Cgil, sa rappresentare il vento nuovo della politica – quello di Milano, Napoli, dei referendum – riuscendo ad attrarre soggetti diversi, movimenti, gruppi e individui sprovvisti di un partito di riferimento. E lo fa cercando anche nel mondo della cultura, dello spettacolo, della tv, una propria legittimazione come soggetto autonomo che scavalca e fa concorrenza alla casa madre. Basta dare un'occhiata al programma dei festeggiamenti organizzati per i 110 anni della Fiom, agli invitati, alle parole d'ordine, ai temi in discussione: è il programma di un'organizzazione generale, non di un tradizionale sindacato, tanto meno di categoria. Il progetto di questo nuovo protagonismo nasce nel triangolo Bologna-Modena-Reggio Emilia, suggerito e organizzato da un gruppo ristretto di intellettuali: Tiziano Rinaldini, Marco Revelli, Francesco Garibaldo, Paolo Flores d'Arcais. Tuttavia, secondo molti osservatori, il maggiore artefice del successo, anche personale, di Landini, è Sergio Marchionne, l'amministratore delegato di Fiat che di fatto lo ha scelto come proprio antagonista conferendogli, in automatico, lo status di leader. Ma in questa partita il segretario della Fiom ha giocato bene. “E' riuscito a riportare di moda la lotta di classe, con un senso più ampio che in passato, il riscatto del povero verso il ricco, del debole verso il forte'', spiega al Foglio Fausto Durante, leader della minoranza riformista nella Fiom: “Il vero merito di Landini, di cui com'è noto non condivido le posizioni, è di essere un sindacalista molto preparato tecnicamente che riesce a parlare a un mondo più vasto di quello sindacale e metalmeccanico''.

    Come si riflette poi nel concreto quotidiano tutto questo successo? Pochissimo sul tavolo di trattativa: la Fiat, la Federmeccanica, non si impressionano solo perché Landini è una star. E i continui rilanci iniziano a irritare non solo le aziende, ma la stessa Cgil, come si evince dalle dichiarazioni polemiche di Camusso nei confronti della categoria. I molti contratti non firmati, inoltre, privando la Fiom dei cospicui introiti a essi legati, causano un rosso fisso nei bilanci, a cui si cerca di supplire con una campagna di sottoscrizioni via Web. Ma se anche sugli iscritti non ci sono effetti visibili del movimentismo landiniano, le cose cambiano nelle elezioni delle Rsu, le Rappresentanze sindacali unitarie elette da tutti i lavoratori di fabbrica, iscritti al sindacato o meno: lì la visibilità mediatica ha avuto un peso, la Fiom vince in molte aziende piazzando più delegati che in passato. Secondo Bruno Manghi, sociologo ed ex direttore del Centro studi della Cisl, si tratta tuttavia di successi di breve respiro: “Il movimentismo non è una novità: lo abbiamo praticato tutti negli anni Settanta – dice al Foglio – ma è una stagione irripetibile. E' comprensibile che in un momento di debolezza generale dei sindacati si cerchi una compensazione nelle piazze, nella mediaticità. Però un sindacato trova la sua legittimazione, e risponde, a coloro che pagano le tessere e votano ai congressi''.

    Aggiunge Giuseppe Berta, storico dell'industria all'Università Bocconi: “La Fiom ha buttato a mare la sua tradizione industrialista per scegliere la piazza. Il risultato oggi è un sindacato emarginato nella contrattazione e nella rappresentanza, anche dentro la stessa Cgil''. In compenso, non ha rivali quanto ad appeal sui giovani e sui non sindacalizzati, il che le consente di restare sulla scena politica come protagonista. Avverte però Berta: “A Torino il candidato della Fiom alle primarie del Pd, Michele Curto, non ha sfondato. La base sindacale ha votato Piero Fassino. E' possibile che Landini si faccia promotore di un progetto politico a sinistra, ma in quel caso si avventurerebbe in una terra di nessuno, molto affollata''. Sottolinea ancora Manghi: “Sono almeno vent'anni che il sindacato non è più un bacino elettorale. L'unico che può giocare un ruolo orientando il voto sono i pensionati della Cgil: provengono dalla vecchia base del Pci, e hanno tempo''. Ma del resto c'è anche questo nella strategia di Landini: creare un ponte tra il mondo dei giovani precari e quello dei pensionati, che di questo mondo costituiscono oggi il principale puntello. Si colloca in questo quadro anche la recente alleanza della Fiom con il Spi-Cgil guidato da Carla Cantone, che alcuni, peraltro, fino a un paio di anni fa vedevano come possibile successore di Guglielmo Epifani alla guida della confederazione.