Un ambasciatore coraggioso in Siria

Redazione

Damasco ha reagito con furia alla visita dell'ambasciatore americano Robert Ford e di quello francese, Eric Chevallier, a Hama, la città nel centro del paese assediata dalle forze di sicurezza e tornata a essere simbolo della sfida al regime dei siriani  quasi trent'anni dopo il massacro del 1982. La rabbia era diretta soprattutto contro la presenza dell'americano. “E' andato a Hama senza chiedere il permesso del ministero degli Esteri, trasgredendo le numerosi circolari che sono state distribuite alle ambasciate straniere.

    Damasco ha reagito con furia alla visita dell'ambasciatore americano Robert Ford e di quello francese, Eric Chevallier, a Hama, la città nel centro del paese assediata dalle forze di sicurezza e tornata a essere simbolo della sfida al regime dei siriani  quasi trent'anni dopo il massacro del 1982. La rabbia era diretta soprattutto contro la presenza dell'americano. “E' andato a Hama senza chiedere il permesso del ministero degli Esteri, trasgredendo le numerosi circolari che sono state distribuite alle ambasciate straniere. E' la prova chiara del coinvolgimento degli Stati Uniti negli eventi che accadono in Siria e dell'intento di aggravarli”.

    Il dipartimento di stato da Washington risponde che l'ambasciata aveva avvertito il governo siriano del viaggio di una squadra diplomatica – senza nominare l'ambasciatore. In ogni caso, è la mossa più coraggiosa fatta da un diplomatico americano dall'inizio di tutta la primavera araba, a partire dalla rivolta in Tunisia di dicembre. Ford è arrivato giovedì, è stato accolto da una folla giubilante, accompagnato in corteo sulla strada principale della città – la sua macchina coperta da una pioggia di fiori – e si è fermato fino alle prime ore del pomeriggio di venerdì, quando come ogni settimana cominciano le grandi proteste contro Bashar el Assad.

    Per un giorno, la presenza dell'ambasciatore americano ha fisicamente impedito alle forze di sicurezza di aggredire la protesta con i carri armati, come è successo due giorni fa (i morti sono stati 22). Ma ha anche dato un segnale inequivocabile da parte dell'Amministrazione Obama, che per troppo tempo ha vivacchiato all'ombra della linea adottata dal partito democratico, con le visite ingenue di John Kerry e di Nancy Pelosi e le aperture di credito alle “riforme” annunciate e mai compiute dagli Assad. Il segnale è: siamo con voi, dalla vostra parte, e il commento che ora circola di bocca in bocca fra i giovani siriani è che la sfilata di Ford è stata un gesto più importante di ogni possibile dichiarazione da Washington – non ancora arrivata – sul desiderio di un regime change a Damasco.

    L'ambasciatore ha anche salvato il proprio posto: da tempo ci si chiedeva che ci sta a fare ancora un rappresentante americano in Siria, mandato nel 2009 dal presidente Obama a riaprire la sede diplomatica e a lavorare alla riconciliazione quando ancora ci si poteva credere. Ford ha dimostrato che stando sul posto può giocare un ruolo cruciale, proprio in faccia agli Assad. Resta da capire, si chiedono i siriani, perché non faccia lo stesso anche l'ambasciatore – per fare un esempio – della Turchia, che con la sua sola presenza potrebbe inibire la tentazione del regime di lasciarsi andare a una replica selvaggia della repressione militare degli anni Ottanta.