Il romanzo di Bobo Maroni / 6
Il Maroni del primo Viminale tra un “sì” e un “anzi no” al decreto Biondi
Roberto Maroni all'Interno? “Ha la mia non fiducia di principio”, disse nel 2008 Francesco Cossiga. Motivo: “Le sciagurate dichiarazioni in materia di immigrazione”. Non che a Cossiga piacesse il Roberto Maroni ministro dell'Interno nel 1994. Motivo: un dissidio sui funzionari del Sisde, difesi da Maroni in un momento in cui Cossiga aveva presentato denuncia su un presunto caso di spionaggio che lo riguardava.
di Cristina Giudici, Marianna Rizzini
Roberto Maroni all'Interno? “Ha la mia non fiducia di principio”, disse nel 2008 Francesco Cossiga. Motivo: “Le sciagurate dichiarazioni in materia di immigrazione”. Non che a Cossiga piacesse il Roberto Maroni ministro dell'Interno nel 1994. Motivo: un dissidio sui funzionari del Sisde, difesi da Maroni in un momento in cui Cossiga aveva presentato denuncia su un presunto caso di spionaggio che lo riguardava. Gli habitué dei palazzi pensano invece che sia stata la civetteria a far pronunciare un doppio “niet” al presidente emerito: ti pare che Cossiga si fa scippare da Maroni la palma di enfant prodige? Per un Cossiga inconquistabile, comunque, c'è un Roberto Saviano conquistato (nel 2008): “Maroni è tra i migliori ministri dell'Interno di sempre sulla lotta alla mafia”.
Quanto al Sisde, il Maroni che nel '94 entra nelle stanze dei misteri trova una serie di faldoni riempiti in modo fantasioso: “Prendevi una cartella enorme con scritto ‘Lega nord' e trovavi soltanto due sparuti articoli di giornale”, dirà poi a un cronista. Per il resto, in quel Viminale un po' fané (“mi date un computer?”, chiede Bobo il primo giorno), sono gran riunioni notturne a base di pizza nel cartone con Maurizio Gasparri sottosegretario.
“Finalmente, dopo mezzo secolo, il ministero dell'Interno non è retto da un democristiano”. Questo scrive il socialista Giacomo Mancini nella lettera di auguri a Maroni il 10 maggio del '94. In marzo la sinistra ha perso le elezioni. Il giornalista dell'Espresso Roberto Di Caro un giorno avvicina Bossi e Maroni (forti dell'8,3 per cento): “E ora chi ci libera da Silvio?”, chiede a Bossi. “Non preoccuparti, ci penso io, dammi qualche mese”, dice Bossi. Nel 2010 Di Caro intervista Maroni e scopre che Maroni ricorda perfettamente l'episodio: “Fu in quel momento che cominciai a sudare freddo”. E però, a inizio maggio '94, il ribaltone anti Cav. è ancora lontano e Bobo è ancora soltanto un deputato. E' successo che Antonio Di Pietro ha rifiutato il Viminale.
E' successo, dice la leggenda, che il capo della Polizia Vincenzo Parisi, poi protagonista di un amaro addio proprio durante il dicastero Maroni, si è alzato da una cena con Bossi e Bobo con l'intenzione di telefonare al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, scettico all'idea di un leghista al Viminale, per comunicargli la sua impressione favorevole. Molto rumore per nulla, ché il Maroni ministro prontamente dirà: “La Lega federalista, con un leghista al Viminale, diventa il garante dell'unità d'Italia”. Mettici pure quel “vado subito a Palermo” del Maroni un po' giacobino e un po' antimafia, ed ecco che Scalfaro nota: “Il ministro riscuote ogni giorno adesioni più intense”. E insomma Maroni nel '94 al Viminale ci arriva anche grazie alle doti di uomo della trattativa (anche se quella con Mario Segni viene lodata e affondata da Bossi nel giro di quarantotto ore). “Bobo tratta sempre, anche quando non c'è più nulla da trattare”, dirà poi il Senatur. Quando si raggiunge l'accordo sul Viminale, ricorda Marco Formentini, Bossi a Via Bellerio dice: “E' fatta, Fini ha detto sì”.
Bobo viene prelevato da tre macchine della Digos nella natìa Lozza, con la consorte Emi perplessa, e sbarca a Roma con una giacca troppo colorata. Non prevede che presto dovrà dire un “sì, anzi no” al decreto Biondi sulla limitazione della custodia cautelare per i reati di corruzione. Maroni lì per lì firma, il popolo dei fax insorge contro il cosiddetto ddl “salvaladri”, Bossi cambia idea e Maroni dice: sono stato imbrogliato. Rocco Buttiglione la butta in scherzo: “Questo Maroni è un po' distratto. Una volta ha trattato per ore con me e non si è accorto che ero del Ppi”.
di Cristina Giudici, Marianna Rizzini


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