Il dossier che accusa l'Inter di illecito sportivo segna la fine di Calciopoli
Abbiamo capito quello che in fondo avevamo già capito: il calcio dell'inizio degli anni Duemila era come la Prima Repubblica. Come nell'era Craxi si viveva in un sistema condiviso: le squadre cercavano di avvantaggiarsi telefonando ad amici e amici di amici nei palazzi del potere pallonaro. Le 70 pagine di dossier del procuratore federale adesso non mettono al muro l'Inter. Cioè sì, parlano dei nerazzurri, certo.
Leggi Prescrizioni per l'uso dal blog Zeru Tituli Leggi Cose che gli amici juventini non dovrebbero dimenticare dal blog Cerazade - Leggi Facciamo così: Inter in B… dal blog Cambi di stagione
Abbiamo capito quello che in fondo avevamo già capito: il calcio dell'inizio degli anni Duemila era come la Prima Repubblica. Come nell'era Craxi si viveva in un sistema condiviso: le squadre cercavano di avvantaggiarsi telefonando ad amici e amici di amici nei palazzi del potere pallonaro. Le 70 pagine di dossier del procuratore federale adesso non mettono al muro l'Inter. Cioè sì, parlano dei nerazzurri, certo. Dicono che anche il club di Moratti cercava contatti per avere dei favori. Ma la verità è che fanno cadere definitivamente il castello di accuse con cui è stata costruita l'intera inchiesta Calciopoli: l'idea che ci fosse una Cupola che gestiva tutto, dai cartellini alle designazioni arbitrali, ai rigori, alla classifica. Ecco, il memoriale del pm sportivo Palazzi coinvolge l'Inter che sembrava esclusa dal sistema e quindi vittima. L'intero cardine dell'indagine che ha sconvolto l'estate del 2006 cade sotto i colpi dello stesso pool che portò avanti quell'impianto accusatorio. Ci troviamo adesso a capire meglio che c'era qualcosa che non funzionava, esattamente come nell'era del Pentapartito.
E proprio come allora i moralisti hanno finito per pagare il loro atteggiamento: cinque anni dopo le pagine scritte da Palazzi che riportano le telefonate di Giacinto Facchetti non scandalizzano nessuno, ma svelano che lo scandalo vero è stato nella rapidità con cui la giustizia sportiva ha chiuso quella stagione, facendo un processo sommario, cercando un capro espiatorio facilmente riconoscibile, trasformando i protagonisti in mostri da cannibalizzare e dai quali distaccarsi. Quei mostri erano figli di quel mondo, ma il loro mondo li ha scacciati. La fretta provocata dalla vergogna collettiva ha partorito un obbrobrio giuridico: le immagini di Moggi alla sbarra e degli avvocati della Juventus che invocano la serie B pur di chiudere quella vicenda, ricordano i frame di “Un giorno in Pretura” con Forlani con la bava alla bocca o di Craxi che allarga le braccia sconsolato. L'Italia affamata di giustizialismo si ritrova adesso bastonata: lo scudetto degli onesti (quello del 2006 assegnato a tavolino all'Inter) diventa uno scudetto di cartone più di quanto già sia e a prescindere dal fatto che venga revocato o meno. Come per l'era craxiana il pallone di Calciopoli vivrà una frattura che non si rimarginerà.
La colpa è della cultura da gogna pubblica che ha alimentato sospetto e ha diviso il mondo in buoni e cattivi, dove i buoni fanno le stesse cose dei cattivi ma non si fanno beccare e dove gli uni e gli altri si scambiano i ruoli a seconda del tifo, non della cronaca né tantomeno della storia. Non c'è una verità: c'è una versione per ognuno che diventa verità di parte. Il calcio, come la politica, è questione di cuore, di affetto, di passione. La giustizia ha tolto molto pensando di dare pulizia, ordine e rigore. Chi è stato dalla parte dei giudici ha pensato di essere immune, così come accadde durante Tangentopoli. Poi però è accaduto l'ovvio: la ruota gira e gira anche la palla.
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